Hillary Clinton ha ufficialmente accusato i servizi segreti russi di aver rubato email e dati all’interno dei server del comitato che guida i Democratici americani. Le mail, oltre 19mila, sono state pubblicate nei giorni scorsi da WikiLeaks. Il Cremlino ironizza: “Non hanno messo la password?”. Dallo staff della candidata democratica si specifica che sono 19.250 email con ottomila allegati del Democratic National Commitee – successivamente pubblicate da WikiLeaks – a causare le dimissioni della direttrice dello stesso comitato. La campagna presidenziale per la Casa Bianca, cominciata ufficialmente con le convention dei due principali partiti, assume quindi i connotati di una spy story a sfondo geopolitico. 

Sul Corriere della Sera Guido Olimpio racconta i “corsari del web”, squadre di hacker ingaggiate dai governi per attività illegali. Difficile identificarli, difficile trovare prove di legami diretti tra loro e chi li ha reclutati. Il timore di molti analisti è che Mosca, attraverso gli hacker, possa condizionare l’esito delle presidenziali. In realtà quella di Putin, scrive La Stampa, non è un’operazione di spionaggio ma di propaganda. Il leader russo “non vuole influenzare l’esito del voto, ma creare un clima di caos negli Usa”. Paul Krugman sul New York Times chiama Trump “Siberian candidate”. E proprio durante una conferenza stampa di mercoledì, Trump ha detto che sarebbe contento se i russi riuscissero a entrare in possesso di altre email di Clinton, di fatto un chiaro invito ai russi a interferire nelle elezioni americane.

Lo “scontro” tra Vladimir Putin e Hillary Clinton ha origini lontane. Qualche anno fa il presidente russo accusò ripetutamente l’ex segretario di stato americano di interferire negli affari interni della Russia. Non è da escludere quindi che quel che sta avvenendo abbia le sembianze di una vera e propria vendetta da parte della Russia. Non è da escludere che l’offensiva sia partita dall’iniziativa di un funzionario dell’intelligence russa che sperava di compiacere il suo capo, come scrive il Post : ma anche in questo caso, comunque, sarebbe un chiaro segnale del malessere di Putin nei confronti di Clinton. Andando ancora a ritroso nel tempo Gianni Riotta ricorda, sempre su La Stampa che a San Pietroburgo opera da anni un’autentica fucina di troll con migliaia di dipendenti, pronta a inquinare dibattiti con false notizie, esacerbare gli animi, dare un “effetto pro Putin”, spin, a tanti innocenti blog. Uno di questi troll professionisti ha confessato di recente al quotidiano inglese The Guardian come, diretto dall’Agenzia per la Sicurezza di Internet, pratichi disinformazione in Ucraina. La violazione della banca dati democratica, realizzata nel 2008 con la campagna per l’elezione di Obama, è stata rivendicata – ricorda ancora Riotta – da un pirata rumeno, sigla Guccifer 2.0, ma esaminando le “impronte digitali” dei suoi post Fbi e altri centri di analisi riconoscono i servizi militari russi.

(com.unica, 1 agosto 2016)