Nello scorso di maggio avevamo riportato un’anticipazione pubblicata su un giornale svizzero, in cui si paventava il rischio che l’Arabia Saudita potesse avere un suo uomo, l’ambasciatore Faisal bin Hassan Trad, a capo del Consiglio per i diritti umani dell’Onu per l’anno 2016. In quei giorni, a parte l’allarme sollevato da alcune organizzazioni che si battono per la difesa dei diritti umani (a cominciare da Amnesty International), la notizia fu sottovalutata un po’ da tutti, forse si pensava che non si sarebbe arrivati a quel che appariva a tutti una vera e propria provocazione. Eppure quel che ieri sembrava inverosimile o uno scherzo di cattivo gusto è oggi realtà: l’ambasciatore Faisal è stato eletto all’alta carica delle Nazioni Unite.

A dire il vero pare che l’elezione sia avvenuta lo scorso mese di giugno ma i diplomatici hanno deciso nell’imbarazzo generale di non dichiarare che la nomina fosse già avvenuta, forse immaginando che avrebbe provocato uno scandalo, con una conseguente forte perdita di credibilità dell’Onu.

Lo scandalo sta proprio nel fatto che l’Arabia Saudita è ai primi posti nel mondo per la persecuzione delle minoranze religiose, per il numero di pene capitali imposte (un’esecuzione ogni due giorni secondo Amnesty), processi sommari e per forti limitazioni alla libertà di espressione. Inoltre questo paese è uno dei pochi al mondo a non aver mai firmato la Dichiarazione universale dei diritti umani.

Appena appresa la notizia della nomina non si è fatta attendere la reazione da parte dell’UnWatch, l’organizzazione non-governativa che ha il mandato di verificare che l’Onu rispetti la sua Carta e che i Diritti umani siano accessibili a tutti. Già da tempo UnWatch aveva lanciato l’allarme (purtroppo caduto nel vuoto) chiedendo all’Alto rappresentate dell’Unione per la politica estera, Federica Mogherini e all’ambasciatrice Usa all’Onu, Samantha Power, di “denunciare quest’atto di cinismo che consegnerebbe la commissione ad un paese che taglia le teste in piazza e segrega le donne“.

“Avere Riad come membro dell’Unhrc è già un male di per sé”, ha dichiarato il suo direttore generale Hillel Neuer, “ma lasciargli presiedere un organo chiave delle Nazioni unite è come versare del sale sulle ferite dei dissidenti rinchiusi nelle prigioni saudite, come nel caso di Raif Badawi”. Raif è il blogger saudita, diventato un simbolo della lotta per la libertà di espressione in Arabia Saudita, condannato alla pena di mille frustrate sulla base della legge islamica della sharia.

Secondo Amnesty International le condanne alla pena capitale nel paese sono cresciute enormemente nel corso dell’ultimo anno. Si sottolinea inoltre che le decapitazioni sono diventate talmente numerose da rendere pubblico un bando per poter reclutare nuovi boia.

(Sebastiano Catte com.unica 24 settembre 2015)