L’ex Presidente dello Stato di Israele lascia dietro di sé una difficile e complessa eredità politica

L’annuncio della morte di Shimon Peres lo ha dato la radio militare di Gerusalemme, che ha interrotto la normale programmazione. L’ex Presidente dello Stato di Israele aveva 93 anni e da due settimane era ricoverato nell’ospedale Tel Ha-Shomer di Tel Aviv dopo essere stato colpito da un grave ictus. Ieri c’è stato un aggravamento delle sue condizioni di salute, seguite dall’arrivo in ospedale dei familiari e stanotte dalla morte, avvenuta alle 2.15 ora locale.

In mattinata si è svolta una seduta di lutto del governo convocata dal premier israeliano Benyamin Netanyahu e aperta con un minuto di raccoglimento. In un comunicato, Netanyahu e la moglie esprimono ”profondo dolore per la morte di una persona cara alla Nazione intera, ed ex capo di Stato di Israele”.

“Insieme alla sicurezza di Israele Peres – ha sottolineato il premier – non ha mai cessato di adoperarsi per la pace e di credere nella pace. La sua mano era sempre protesa per una rappacificazione storica con i nostri vicini. E anche se essa ritarderà lui ci ha insegnato a non farsi mai prendere dalla desolazione, ma anzi ad avere fiducia e a continuare ad agire”.

Il presidente americano Barack Obama ha voluto onorare la memoria del grande statista ricordando l’ex presidente e premier israeliano Shimon Peres come un uomo di Stato il cui impegno per la sicurezza di Israele e la ricerca della pace “è stato radicato nella sua base morale inscalfibile e nel suo ottimismo instancabile”. In un comunicato diffuso dalla Casa Bianca, Obama afferma che Peres guardava al futuro “guidato da una visione della dignità umana e di un progresso verso il quale lui sapeva che le persone di buona volontà avrebbero potuto avanzare insieme”. Gli ha fatto eco l’ex presidente Bill Clinton, alla cui presenza israeliani e palestinesi firmarono quegli accordi di pace nel 1993 che fecero vincere un anno dopo a Peres il premio Nobel per la Pace: “Un fervente sostenitore della pace e della riconciliazione – ha detto Clinton. “Non dimenticherò mai quanto felice si sentì 23 anni fa quando firmò gli Accordi di Oslo sul prato della Casa Bianca, annunciando l’inizio di un’era di maggiore speranza nelle relazioni israelo-palestinesi”. “Shimon Peres, un grande del nostro tempo, un uomo di pace”, ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Nobel per la Pace, padre fondatore dello Stato d’Israele, più volte ministro, primo ministro e presidente dal 2007 al 2014: la carriera politica dell’uomo politico laburista che a lungo è stato il più avversato di Israele non è stata sempre all’insegna della ricerca della pace come negli ultimi vent’anni. Anzi in passato Shimon Peres è stato ritenuto da molti un “falco” della politica israeliana. All’inizio della sua lunga carriera politica infatti manifestò sempre molta diffidenza nei confronti dei palestinesi e si diceva contrario a qualsiasi forma di compromesso con loro. Cambiò decisamente idea dopo la visita del presidente egiziano Anwar Sadat a Gerusalemme, con cui Israele firmò il primo trattato di pace della sua storia con uno stato arabo. Da allora la svolta: Peres divenne una “colomba” e fu uno dei più convinti sostenitori della pace con i palestinesi, al punto che la rivista “Haaretz” l’ha descritto come il nuovo Sisifo (il personaggio della mitologia greca costretto a trasportare un masso in cima a un monte per l’eternità, dato che il masso continuava a cadere una volta arrivato in cima). Il merito principale di Peres – scrive oggi “Il Post” – fu soprattutto quello di scegliere come interlocutori del popolo palestinese l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), un’associazione fondata all’interno della Lega Araba che aveva come obiettivo l’emancipazione del popolo palestinese con la lotta armata: molti dei suoi membri erano infatti laici o marxisti, al contrario dei gruppi di ispirazione islamica.

Nel 2007 Peres conquistò la carica capo dello Stato e quindi iniziò il periodo caratterizzato dalla difficile ‘coabitazione’ con il premier Netanyahu. Ma in Israele era ormai diventato più di ogni altro un punto di riferimento obbligato: non solo i capi di Stato, ma anche i leader religiosi, gli intellettuali, gli scienziati e gli artisti di passaggio da Gerusalemme non perdevano mai occasione per un incontro con lui.

Negli ultimi anni, nonostante il pessimismo che aveva pervaso gran parte della società israeliana, non si è mai stancato di ripetere in varie interviste che la pace sarebbe stata ancora possibile, a patto di avere la volontà e il coraggio di volerla ottenere.

(com.unica, 28 settembre 2016)