Un negoziato senza l’Ucraina? Perché il piano di Trump è una resa a Putin
Lo afferma Timothy Snyder, professore alla Yale University e uno dei massimi esperti mondiali di storia russa e ucraina
La guerra in Ucraina non si gioca solo nelle trincee del Donbass o nei cieli sopra Kiev. Si combatte anche nelle stanze ovattate della diplomazia internazionale, dove il rischio non è solo un cattivo accordo, ma una pace che sancisca la vittoria dell’aggressore e la morte del diritto internazionale. A ricordarlo è Timothy Snyder in un intervento apparso sul suo blog dopo uno dei più massicci bombardamenti missilistici contro infrastrutture e civili ucraini: oltre cinquecento tra droni e razzi, venticinque morti a Ternopil, tra cui tre bambini. Snyder scrive senza giri di parole: «Questo è l’ultimo enorme crimine di guerra nella guerra criminale della Russia.» Ed è da questo contesto, non da un astratto esercizio diplomatico, che occorre partire per giudicare le proposte di pace in circolazione – in particolare quella promossa dall’amministrazione Trump.
Secondo lo storico, il negoziato proposto dagli emissari di Trump è modellato sulle richieste russe e strutturalmente destinato al fallimento, perché ignora i principi fondamentali che rendono un accordo sostenibile. Il primo è elementare: «In una trattativa efficace, le concessioni non si fanno in anticipo.» E invece, osserva, i piani discussi negli ultimi mesi avrebbero già concesso alla Russia l’esclusione dell’Ucraina dalla NATO, l’impunità per i crimini di guerra e l’assenza di riparazioni. Concessioni “non solo ingiuste, ma in nome di altri”. C’è poi un punto cruciale: gli ucraini non sono stati coinvolti. Snyder avverte che trattare la guerra come un affare personale tra Zelensky e Putin non solo è falso, ma pericoloso: «Gli ucraini non combattono per Zelensky. Combattono per le loro vite e per un’idea decente di ciò che significa vivere.»
Si rischia una pace imposta dall’alto, che funzionerebbe come monito al mondo: la forza paga, la legge internazionale è opzionale. Snyder ricorda: «Dopo la Seconda guerra mondiale, un principio fondamentale dell’ordine internazionale è che l’aggressione per cambiare le frontiere è illegale.» Premiare Mosca significa incentivare conflitti futuri, non risolvere quello attuale.
Il cuore politico del suo argomento è la sovranità. Per la Russia, la guerra ha un obiettivo preciso: «Garantire che non esista uno Stato ucraino sovrano.» Per questo la pace non può consistere in concessioni costituzionali, limitazioni militari o trattati che vincolano la politica estera di Kiev. La sola garanzia reale è l’integrazione occidentale: «La Russia attacca paesi che non sono membri della NATO. Non attacca paesi che lo sono.» La conclusione è chiara: prima si sostiene l’Ucraina sul campo, poi si negozia. Non il contrario. «I negoziati funzioneranno quando la Russia non avrà più l’aspirazione di distruggere l’Ucraina.»
Le preoccupazioni di Snyder trovano eco, quasi riga per riga, nel durissimo editoriale del Financial Times, che definisce la politica internazionale di Trump «cinica, egoista e avida di denaro». Se nel primo anno di mandato Trump si era vantato dell’ambiguità come arma diplomatica, oggi quella maschera, scrive il FT, è caduta: «La vera natura cinica, avida di denaro e interessata della sua visione del mondo è stata messa a nudo.»
Il quotidiano londinese riassume così il piano Trump: Kiev dovrebbe cedere territori ancora sotto suo controllo; ridurre drasticamente il proprio esercito; accettare garanzie di sicurezza vaghe e aprire alla ricostruzione guidata dagli USA, finanziata da 100 miliardi di beni russi congelati, con il 50% dei profitti agli Stati Uniti. In altri termini, una pace costruita come operazione commerciale. «L’impressione evidente è che Trump voglia un accordo il prima possibile e a qualsiasi costo per l’Ucraina. Ciò gli consentirebbe di rivendicare un altro accordo di pace come parte della sua ossessiva ricerca del Premio Nobel.» Non solo: «Ogni volta che si avvicina a Mosca incoraggia Putin a chiedere di più.» Il messaggio geopolitico, conclude il FT, è devastante: gli Stati Uniti non aspirano più a essere un “faro democratico”, ma un paese «aperto agli affari con chiunque, specialmente quando ci sono accordi in gioco.»
Come affermato da Snyder stiamo parlando quindi di una pace che premia l’aggressione, normalizza la guerra come strumento di politica estera, svuota il diritto internazionale e spinge altri paesi a dotarsi di armi nucleari per sopravvivere. «Se l’Ucraina sarà vista come sconfitta, altri paesi trarranno la conclusione di aver bisogno della bomba.» spiega lo storico americano. Paradossalmente, dunque, la sconfitta dell’Ucraina aumenta il rischio nucleare, non il contrario.
La vera alternativa non è pertanto tra negoziare o combattere, ma tra negoziare prima o dopo aver fermato l’aggressione. Snyder formula così il concetto: «Questa guerra può finire. Ma solo quando l’Ucraina sarà sostenuta abbastanza da rendere impossibile alla Russia distruggerla.» Non una pace immediata, ma una pace che abbia un futuro.
Sebastiano Catte, com.unica 22 novembre 2025
*Timothy Snyder è Richard C. Levin Professor of History alla Yale University e permanent fellow all’Institute for Human Sciences di Vienna. Storico di fama internazionale, è specializzato nell’Europa centro-orientale e nell’analisi dei totalitarismi del XX secolo. Tra le sue opere principali si ricordano: Bloodlands: Europe Between Hitler and Stalin (2010), dedicato alle violenze totalitarie nello spazio tra URSS e Germania nazista; Black Earth: The Holocaust as History and Warning (2015), interpretazione innovativa della Shoah come monito contemporaneo; On Tyranny: Twenty Lessons from the Twentieth Century (2017), diventato un testo politico di riferimento globale; On Freedom (2024), il suo lavoro più recente, dedicato al significato contemporaneo della libertà. Le sue opere sono tradotte in oltre quaranta lingue e hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti internazionali, tra cui l’Emerson Prize in the Humanities, il premio della Foundation for Polish Science e l’Hannah Arendt Prize in Political Thought.
