Il prestigioso riconoscimento alla leader dell’opposizione venezuelana al regime di Maduro: Anne Applebaum spiega perché è più che meritato

«Una donna che tiene viva la fiamma della democrazia in mezzo a un’oscurità crescente». Così il Comitato norvegese per il Nobel ha descritto Maria Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana, annunciando il premio per la Pace 2025. Un riconoscimento che, come sottolinea la storica e giornalista Anne Applebaum su The Atlantic, «non celebra solo una persona, ma un intero popolo che ha scelto di rispondere alla violenza con il coraggio e alla corruzione con la speranza».

Applebaum, che ha più volte incontrato Machado in segreto — «non sapendo mai dove si trovasse, perché vive nascosta in un Paese che crolla» — descrive una donna «calma, sicura, elegante. Non l’immagine di chi è braccato, ma quella di chi ha trovato una pace interiore più profonda: quella di chi sa di essere nel giusto». Machado, scrive la giornalista, «non si è limitata a denunciare un’elezione rubata: ha dato vita a un movimento che ha trasformato la società venezuelana, portando alla luce un cambiamento antropologico irreversibile».

La rivoluzione silenziosa di una donna libera

Nata 58 anni fa a Caracas, ingegnere di formazione, Corina Machado è oggi la figura più simbolica della resistenza civile al regime di Nicolás Maduro. Fondatrice del movimento Vente Venezuela, si è affermata come leader liberale in un Paese dove ogni voce dissidente è messa a tacere. Alle primarie dell’opposizione del 2024 ottenne il 90% dei voti, ma il regime la dichiarò ineleggibile, tagliandola fuori dalla corsa presidenziale.

Non si arrese. Sostenne allora la candidatura dell’ex ambasciatore Edmundo González Urrutia, l’unico della coalizione unitaria democratica a non essere censurato, diventando il motore della campagna elettorale più partecipata dell’era chavista. Quando il Consiglio elettorale annunciò per la terza volta la “vittoria” di Maduro senza presentare i verbali, Machado rispose con i fatti: coordinò la digitalizzazione dei documenti di voto, caricandoli su un archivio online accessibile a tutti. Un gesto di trasparenza radicale, che le è costato persecuzioni e minacce, ma che ha scosso il mondo.

Come nota Applebaum, «il movimento che Machado e i suoi colleghi hanno costruito non è solo politico: è un esercizio collettivo di libertà. Hanno insegnato a centinaia di migliaia di persone non solo a votare, ma a costruire istituzioni dal basso».

“Il Venezuela è cambiato per sempre”

Nell’intervista a The Atlantic, Machado ha spiegato con parole che suonano come un manifesto civile:

«Il 28 luglio non è stato solo un evento. È un processo che ha unito il nostro Paese. Indipendentemente da quanto tempo ci vorrà, il Venezuela è cambiato per sempre e in meglio».

Per Applebaum, si tratta di un momento epocale: «La portata della loro impresa — il numero di persone coinvolte, la varietà sociale e geografica — sarebbe notevole anche in una democrazia liberale. In uno Stato autoritario, è qualcosa di straordinario». Machado non smette di ripetere che il suo obiettivo è ribaltare la logica del potere:

«Voglio trasformare completamente il rapporto tra cittadini e Stato. Abbiamo sempre conosciuto uno Stato che decide per noi. Ora sarà il contrario: sarà la società a essere al potere, e lo Stato al suo servizio».

Parole che risuonano come un’eco della democrazia più autentica, quella che nasce non dai palazzi ma dalle piazze, dalle voci anonime, dal coraggio di chi non si rassegna.

Tra persecuzione e speranza

Mentre il suo alleato González è stato costretto all’esilio in Spagna, Machado ha scelto di restare in Venezuela, «in clandestinità ma non in silenzio». Intorno a lei si è stretto un fronte internazionale insospettabile: dal presidente argentino Javier Milei, che l’ha definita «una luce che illumina il mondo contro la narcodittatura», a leader progressisti come Lula e Boric, che non hanno potuto ignorare le prove di brogli e la brutalità del regime. Come ricorda Applebaum, il Venezuela non è più soltanto sinonimo di crisi, emigrazione o narcotraffico: «È la culla di uno dei movimenti democratici più straordinari del nostro tempo». E il Nobel a Corina Machado — scrive — «ricorda a tutti noi che la partecipazione conta, che l’impegno civile può ancora cambiare la storia, anche quando sembra impossibile».

Machado stessa lo riassume con semplicità disarmante:

«Non ho nulla da offrire se non il lavoro. Ma se ci mettiamo insieme, possiamo rimettere in piedi questo Paese».

In un’epoca di disillusione e cinismo, il suo sorriso fermo, dietro un muro bianco, è diventato un simbolo universale. Una lezione di democrazia che non viene dal potere, ma dal coraggio di chi lo sfida con la verità.

Sebastiano Catte, com.unica 12 ottobre 2025

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