Al Meeting di Comunione e Liberazione l’ex premier ha lanciato un appello a riformare l’Unione: “La forza economica non basta, serve unità politica e investimenti comuni per affrontare le sfide globali.”

RIMINI – Mario Draghi è salito ieri sul palco del Meeting dell’Amicizia tra i Popoli con il passo misurato di chi porta sulle spalle il peso dell’esperienza e un’agenda ancora carica di urgenze. La platea del Palacongressi lo ha accolto con un silenzio attento, rotto solo dagli applausi a sottolineare i passaggi più incisivi. Il suo discorso inaugurale ha avuto il tono di una diagnosi impietosa ma necessaria: l’Europa deve smettere di illudersi che la sola forza economica basti a garantire peso politico e sicurezza internazionale.

Quest’anno sarà ricordato come quello in cui l’illusione è evaporata”, ha detto Draghi, riferendosi al progressivo ridimensionamento del ruolo europeo sulla scena globale. Gli esempi non sono mancati: dai dazi imposti dagli Stati Uniti, all’aumento forzato della spesa militare, passando per la marginalità nei negoziati sulla guerra in Ucraina. Una fotografia nitida, che ha messo in risalto la vulnerabilità di un continente ancora ancorato a schemi del passato.

Un’Europa fragile in un mondo che cambia

Nel suo ragionamento, Draghi ha ricordato come l’Unione Europea sia nata dalle macerie del Novecento, quando gli Stati nazionali avevano fallito nel difendere pace e democrazia. L’integrazione fu allora una risposta “quasi naturale” al rischio di nuovi conflitti. Ma oggi, ha spiegato, “il mondo è cambiato: mentre prima ci si affidava ai mercati, oggi sono la potenza militare e il controllo delle tecnologie a dettare le regole”.

L’Europa, così com’è, appare inadeguata. Troppo lenta, troppo divisa, troppo marginale. “Per affrontare le sfide di oggi l’Unione europea deve trasformarsi da spettatore o al più comprimario in attore protagonista”, ha scandito l’ex premier.

Mercato unico e tecnologie: i nodi irrisolti

Il cuore del discorso si è soffermato su due aree decisive: il completamento del mercato unico e la corsa alle tecnologie strategiche. A quarant’anni dall’Atto per il Mercato Unico, barriere interne ancora persistenti “sono equivalenti a una tariffa del 64% sui macchinari e del 95% sui metalli”. Una distorsione che rende più costose le gare d’appalto e frena la produttività.

Sul fronte tecnologico, Draghi ha citato l’industria dei semiconduttori come esempio lampante: negli Stati Uniti e in Asia i progetti arrivano a decine di miliardi, mentre in Europa restano “frammentati e troppo piccoli”. La conseguenza è che l’obiettivo di raddoppiare la quota di mercato globale al 20% entro il 2030 appare irrealistico. “Nessun Paese europeo può da solo avere le risorse necessarie”, ha ammonito, invitando a puntare su finanziamenti comuni e su una vera politica industriale continentale.

Il tema del debito “buono”

Non poteva mancare un richiamo a uno dei concetti più cari a Draghi: la distinzione tra debito buono e debito cattivo. “Il debito buono finanzia investimenti strategici e genera la crescita che servirà a ripagarlo. Ma oggi in alcuni settori il debito buono non è più possibile a livello nazionale”, ha spiegato. Per questo, ha rilanciato l’idea di un debito comune europeo, capace di sostenere progetti di scala adeguata in difesa, energia e innovazione.

Dallo scetticismo alla speranza

Draghi non ha nascosto le difficoltà: lo scetticismo dei cittadini verso Bruxelles cresce, ma non riguarda i valori fondativi – libertà, democrazia, pace – bensì la capacità dell’Unione di difenderli. “Lo scetticismo aiuta a vedere attraverso la nebbia della retorica, ma occorre anche la speranza nel cambiamento e la fiducia nelle proprie capacità di attuarlo”, ha esortato.

Ricordando la risposta unitaria alla pandemia e all’invasione russa dell’Ucraina, Draghi ha sottolineato come l’Europa abbia saputo, nelle emergenze, superare i propri tabù. Ora si tratta di trasformare quella capacità di adattamento in una strategia di lungo periodo.

Un appello ai giovani

Nelle battute finali, il discorso si è fatto più personale e diretto, rivolgendosi soprattutto alle nuove generazioni. “Molti di voi accettano di essere sia italiani che europei; molti di voi riconoscono come l’Europa aiuti i piccoli Paesi a raggiungere insieme obiettivi che non riuscirebbero a conseguire da soli”, ha detto, invitando i giovani a non cedere al disincanto ma a farsi protagonisti di un’Europa nuova.

Trasformate il vostro scetticismo in azione, fate sentire la vostra voce”, è stato il monito conclusivo. Perché, ha ricordato, l’Unione non è un’entità astratta ma “il meccanismo con cui i cittadini europei decidono le proprie priorità”.

Il peso di un testimone

Alla fine, Draghi ha lasciato la platea con la sensazione di un discorso che non si limita a constatare debolezze, ma invita a un’assunzione di responsabilità collettiva. A Rimini l’ex presidente della BCE ha parlato non solo da tecnico ma da testimone del tempo, consegnando un messaggio che risuona come avvertimento e promessa: l’Europa, se saprà ritrovare unità e coraggio, può ancora scrivere il proprio futuro.

com.unica, 23 agosto 2025

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