Leone XIV e i suoi primi cento giorni: l’inquietudine di un Papa nel cuore del mondo

Unità della Chiesa, pace tra i popoli e coscienza nell’era dell’intelligenza artificiale: il papa agostiniano affronta le sfide globali seguendo una rotta sobria ma determinata.
Il tempo dei primi cento giorni è un artificio, un numero tondo che rassicura i cronisti e serve a fissare i bilanci provvisori. Eppure, per un papa, anche i primi cento giorni hanno il peso delle scelte iniziali, delle parole pronunciate e dei silenzi custoditi. Leone XIV, l’americano agostiniano che ha raccolto il testimone di Francesco, li ha trascorsi con passo misurato, senza strappi, eppure lasciando emergere il tratto di fondo del suo pontificato: l’inquietudine.
Non quella dell’ansia, ma quella che Agostino chiamava inquietudo cordis: il cuore che non trova riposo finché non si apre a Dio. È questo filo agostiniano che tesse la trama dei primi mesi di Leone XIV, e che lo distingue e al tempo stesso lo lega al suo predecessore. Francesco era il papa dei gesti improvvisi, degli abbracci e dei selfie, dell’autorità che si afferma anche rompendo protocolli. Prevost, invece, appare più schivo, ma non meno incisivo: sceglie la discrezione, la parola calibrata, lo spazio dell’ascolto. Non mette sé stesso al centro, ma il cammino comune.
La pace come frontiera
Il primo grande banco di prova è stato quello della pace. «Il mondo non sopporta più la guerra», ha detto parlando di Gaza, scegliendo termini forti — “barbarie”, “deportazioni forzate” — che tradiscono l’intolleranza morale per un conflitto che lacera civili e cristiani in Terra Santa. Non sono parole abituali per un uomo noto per la moderazione diplomatica. Ma proprio per questo hanno avuto peso.
Sul fronte ucraino, Leone ha mantenuto la linea di un appello costante al cessate il fuoco, senza l’insistenza quasi quotidiana di Francesco, rispetto al quale ha adoperato parole più nette, scegliendo la chiarezza quanto alle responsabilità della Russia come aggressore. «Meno parole, ma più ascolto», ha confidato un cardinale curiale. E tuttavia, il rischio è che il silenzio diventi assenza: i prossimi mesi diranno se questa strategia darà più forza alla sua voce o se finirà per diluirne l’impatto.
Al di là dei comunicati e delle telefonate ai leader, il papa agostiniano insiste sulla dimensione quotidiana della pace. Non solo diplomazia dall’alto, ma “creatori di pace” nelle parrocchie, nei quartieri, nelle periferie. È la stessa logica delle prime comunità cristiane evocate nelle sue omelie: la pace che nasce dal basso, che si costruisce nel gesto umile e perseverante di chi disinnesca l’ostilità attraverso il perdono.
Unità e sinodalità
C’è poi la sfida interna: unire una Chiesa attraversata da polarizzazioni e conflitti sotterranei. Leone XIV ha ribadito fin dal primo incontro con i cardinali il suo motto agostiniano: In Illo Uno Unum — “Nell’Uno siamo uno”. Non uno slogan, ma una rotta: riportare la comunione al centro.
Francesco aveva aperto la stagione della sinodalità, convocando assemblee che hanno dato voce al popolo di Dio. Leone ha raccolto l’eredità, ma con un’impronta diversa: meno improvvisazione, più discernimento. In un incontro, alzando un taccuino, ha detto: «Sono qui per ascoltare, non per dare risposte pronte». È l’eco dell’Agostino che scriveva: “Conoscere se stessi per conoscere Dio”.
Anche nel rapporto con la Curia romana ha scelto una via inedita: non lo sradicamento, come fece Francesco, ma la ricerca di collaborazione e fiducia. Ha ricordato che «i papi vanno e vengono, la Curia resta». Un realismo istituzionale che può apparire conservatore, ma che in realtà rivela la sua volontà di non governare da solo, bensì con un “gioco di squadra”.
L’intelligenza artificiale e la nuova rivoluzione
Il terzo fronte è forse il più inatteso per un papa: l’intelligenza artificiale. Francesco aveva già aperto il cantiere, parlando di “inquinamento cognitivo” e chiedendo regole globali per governare la tecnologia. Leone XIV ha rilanciato, collegando la sua scelta di nome a Leone XIII e alla Rerum Novarum: così come allora la Chiesa affrontò la rivoluzione industriale, oggi deve misurarsi con una nuova rivoluzione, quella dell’algoritmo.
Nei suoi primi interventi, ha chiarito i rischi e le possibilità. Rischi: la dignità umana minacciata da sistemi che decidono al posto delle persone; la giustizia, che può essere distorta da algoritmi opachi; il lavoro, esposto alla sostituzione massiva. Possibilità: strumenti capaci di alleggerire la fatica, democratizzare l’accesso al sapere, favorire incontri tra culture. Ma il punto decisivo, secondo Leone, è che la macchina non può discernere. «La macchina può imitare, ma non comprendere; può processare, ma non amare». Qui ritorna Agostino: la vera intelligenza non è nel calcolo, ma nel cuore che cerca, che non si accontenta, che resta inquieto finché non trova il Bene.
Uno stile personale
In questi primi mesi, Leone XIV ha mostrato una personalità che molti definiscono “normale”. Lo storico Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, in un’intervista alla Stampa lo ha chiamato “il papa della moderazione agostiniana”, in contrasto con il personalismo di Francesco. Normale non significa anonimo: significa non oscurare con la propria figura il messaggio evangelico.
Il suo stile è fatto di piccoli gesti: il sorriso che disarma, il rifiuto di abbracci e selfie, la scelta di passare giorni di riflessione a Castel Gandolfo. È il volto di un papa che non vuole dominare la scena, ma accompagnare il cammino. Nelle sue parole c’è spesso un invito a tornare all’interiorità, a “conoscere i passaggi segreti del cuore”.
L’eredità di Agostino
Agostino rimane il riferimento costante. Prevost lo cita spesso, e non solo come maestro di pensiero, ma come compagno di ricerca. L’inquietudine agostiniana diventa così cifra del pontificato: non una mancanza da colmare, ma la forza che spinge a non fermarsi. In un’omelia, già da cardinale, disse: «Senza Dio ci manca sempre qualcosa. Con Dio troviamo la direzione».
Oggi, da papa, sembra voler dire la stessa cosa al mondo: non c’è pace senza ricerca, non c’è unità senza ascolto, non c’è futuro tecnologico senza coscienza.
La sfida del tempo lungo
I primi cento giorni sono stati una soglia. Non il compimento, ma l’inizio di un cammino che promette di essere meno spettacolare, forse, ma più paziente. Leone XIV non corre, non alza la voce più del necessario, non cerca titoli a effetto. Preferisce la via lenta del discernimento, convinto che solo così si possano affrontare sfide epocali come la guerra, le divisioni interne, l’impatto delle macchine intelligenti. In un mondo che chiede risposte immediate, la sua scelta può sembrare controcorrente. Ma è proprio questo il suo segno: l’inquietudine agostiniana che non si placa, la pace cercata passo dopo passo, l’unità costruita con ascolto, la tecnologia guardata con coscienza.
Leone XIV non ha promesso miracoli nei primi cento giorni. Ha consegnato un metodo: l’arte di non avere fretta, di lasciare spazio al cuore inquieto che cerca Dio e, cercando Dio, costruisce la pace.
Sebastiano Catte, com.unica 18 agosto 2025