A Nuoro l’eco delle isole sacre: al MAN apre “Isole e Idoli”

Un viaggio tra archeologia, arte moderna e mito alla scoperta dei legami invisibili tra figure arcaiche e avanguardie del Novecento
C’è un filo che attraversa il tempo, salta da un’isola all’altra e arriva fino al cuore di Nuoro. Quel filo si chiama “Isole e Idoli” e da domani 27 giugno, nelle sale del Museo MAN, tesse una narrazione affascinante e sorprendente che intreccia l’arte primitiva e quella moderna, l’archeologia e il simbolismo, il Mediterraneo e i Mari del Sud.
La mostra, che inaugura la stagione estiva del museo nuorese, non è un semplice accostamento tra passato e presente, ma una vera e propria immersione in una costellazione di forme, totem, miti e suggestioni nate nei confini incerti dell’insularità. Un arcipelago di pensieri scolpiti nella pietra, nel legno, nella memoria.
Il percorso espositivo, curato in ogni dettaglio dall’architetto Giovanni Maria Filindeu, si snoda come un arcipelago fisico e concettuale: nuclei tematici come isole, legati tra loro da correnti invisibili. Gli allestimenti, realizzati in materiali evocativi come sabbia lavata e celenit, accompagnano lo sguardo del visitatore in un flusso liquido tra le statue cicladiche e le madri sarde, tra le sculture lignee di Gauguin e le visioni oceaniche di Miró.

Paul Gauguin, Paysage en Bretagne – Vaches à l’abreuvoir, 1885, olio su tela, Milano, Galleria d’Arte Moderna
Il cuore della mostra pulsa attorno a un interrogativo: che cosa lega profondamente un’isola ai suoi idoli? La risposta si cerca nelle oltre 70 opere esposte, provenienti da collezioni internazionali come la Fondazione Giacometti, il Museo del Louvre, la National Gallery di Praga e prestigiose istituzioni italiane. E si trova, soprattutto, nella capacità degli artisti del Novecento di leggere l’arcano e restituirlo in nuove forme.
Così Jean Arp, incantato dalle statuette cicladiche, le trasforma in astrazioni che vibrano di sacralità. Max Pechstein, sbarcato a Palau nel 1914, ritrae volti maschili carichi di dignità arcaica. Joan Miró, nei suoi appunti, scrive dei Moai dell’Isola di Pasqua come di fari interiori. E Alberto Giacometti, camminando tra i massi del Maloja, scolpisce figure che sembrano sacerdoti dell’ignoto.

Joan Miró, Senza titolo, 1974 c., acrilico su tela, 163×131 cm, Palma di Maiorca, Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca
Ma il vero protagonista di “Isole e Idoli” è il concetto stesso di isola: non come luogo isolato o remoto, ma come campo magnetico, come centro di un pensiero mitico originario. Lo spiega bene l’antropologo Matteo Meschiari nel catalogo: “L’incontro tra roccia e acqua è un campo morfogenetico che genera mito. Il mare non è vuoto: è pieno. Le isole sono pause, sospensioni, e l’arcipelago è un iperoggetto fatto di flussi.”
La Sardegna, naturalmente, gioca un ruolo centrale. Un’intera sezione della mostra è dedicata alla sua preistoria sacra, con idoli scolpiti nella pietra, statue-menhir, totem capovolti, tori e dee madri, che dialogano con i reperti archeologici provenienti dai musei dell’isola e con prestiti d’eccezione dal Louvre e dai musei della Bretagna.
Come scrive Chiara Gatti, curatrice e voce critica della mostra: “Non serve il revisionismo postcoloniale per comprendere la potenza simbolica di queste figure. Sono astrazione pura, sono Melencolia di Dürer, sono madri, ancelle, offerenti, in attesa di svelare l’invisibile.”
“Isole e Idoli” è, in fondo, una meditazione visiva sull’alterità, sul sacro, sul desiderio antico di dare forma all’invisibile. Una mostra che non si limita a esporre, ma che invita a navigare, a perdersi, a lasciarsi guidare dagli idoli verso altre rive del pensiero.
Sebastiano Catte, com.unica 26 giugno 2025
*nell’immagine in alto: Florence Henri, Composizione – La gloria che fu della Grecia, 1933 c., fotomontaggio – stampa fotografica analogica del 1975, 23,5×29,5 cm, collezione privata © Martini & Ronchetti, courtesy Archives Florence Henri.