Italia al bivio: il futuro è questione di scelte

Calo demografico, lavoro che cambia, territori in affanno: il Rapporto ISTAT 2025 chiama a un nuovo patto generazionale
L’appuntamento è di quelli rituali e fondamentali. Il 21 maggio a Roma, presso Camera dei Deputati, il presidente dell’ISTAT, Francesco Maria Chelli, ha presentato la 33ª edizione del Rapporto annuale sulla situazione del Paese. Una radiografia dell’Italia che, dietro la compostezza delle cifre, racconta una trasformazione silenziosa ma profonda. È la storia di un Paese che invecchia, che si svuota di giovani e che, pure tra mille difficoltà, cerca un equilibrio tra sviluppo, coesione e sostenibilità.
Un’Italia più longeva, ma sempre più sola
Al 1° gennaio 2025, la popolazione residente è scesa sotto i 59 milioni. Il dato, già noto agli addetti ai lavori, fa ora i conti con una narrazione chiara: l’Italia è in declino demografico da oltre un decennio. La natalità ha toccato un nuovo minimo storico: solo 370 mila nati nel 2024, quasi 200 mila in meno rispetto al 2008. L’indice di fecondità si è attestato a 1,18 figli per donna.
L’unica nota positiva è l’incremento dell’aspettativa di vita, salita a 83,4 anni: un traguardo che, però, rende ancor più evidente l’invecchiamento della popolazione. Un italiano su quattro ha più di 65 anni; gli ultraottantenni sono quasi 4,6 milioni, mentre gli ultracentenari superano per la prima volta le 23.500 unità.
A cambiare è anche la fisionomia della famiglia: oltre il 35% è composta da persone sole, e le coppie con figli rappresentano solo il 28,2%. Tra i giovani, due terzi dei 18-34enni vivono ancora con i genitori. L’età adulta si raggiunge tardi, quando si raggiunge – se si raggiunge – l’autonomia economica.
Una crescita che fatica, un lavoro che evolve
Nel 2024 l’economia italiana è cresciuta dello 0,7%, confermando un trend moderato. Ma la vera sorpresa – e forse uno dei pochi motivi di cauto ottimismo – è il mercato del lavoro: 23,9 milioni gli occupati a fine anno (+1,5%), grazie soprattutto alla componente a tempo indeterminato. Tuttavia, restiamo il Paese europeo con il tasso di occupazione più basso nella fascia 15-64 anni (62,2%).
Le diseguaglianze territoriali e di genere restano ampie: il divario Nord-Sud è ancora di 20,4 punti, quello tra uomini e donne di 17,8. Il part-time – spesso involontario – riguarda il 30% delle donne, e la vulnerabilità lavorativa colpisce un giovane su tre.
Giovani in fuga, capitale umano in perdita
Nel 2024 oltre 191 mila persone hanno lasciato l’Italia. Di queste, più di 156 mila erano cittadini italiani. A colpire è soprattutto l’esodo dei giovani laureati (25-34 anni): nel solo 2023, 21 mila hanno varcato i confini, segnando un nuovo record. È un’emorragia silenziosa ma persistente di competenze, aggravata dal fatto che i rientri sono ancora marginali.
Il saldo migratorio, pur positivo, non basta a invertire la rotta. A oggi, gli stranieri rappresentano il 9,2% della popolazione (5,4 milioni), e i nuovi cittadini italiani sono quasi 2 milioni.
Una società più istruita ma diseguale
Il capitale umano è in crescita, ma resta insufficiente. Solo il 66% degli adulti ha almeno un diploma, e appena il 20% è laureato. Peggio ancora va con le competenze digitali: meno della metà della popolazione adulta ha abilità di base (45,8%), contro una media europea del 55,5%.
L’origine familiare incide ancora profondamente: tra i giovani senza genitori diplomati, solo il 17,6% arriva alla laurea. E l’abbandono scolastico precoce, specie nel Mezzogiorno e tra i giovani stranieri, resta una piaga aperta.
Povertà e salute: un Paese a doppia velocità
Nel 2023 l’8,4% delle famiglie viveva in condizioni di povertà assoluta (5,7 milioni di persone). La quota sale al 12,4% tra quelle con minori, e supera il 35% tra le famiglie composte da soli stranieri. Non basta lavorare per essere al sicuro: oltre un quinto dei lavoratori ha un reddito insufficiente, con punte del 46,6% tra i contrattisti a termine.
La speranza di vita in buona salute – l’indicatore che misura gli anni vissuti senza gravi limitazioni – segna una battuta d’arresto: 56,6 anni per le donne, 59,8 per gli uomini, con un peggioramento soprattutto tra le prime.
Le sfide del futuro: territorio, tecnologia, giovani
Tra i temi centrali del Rapporto, emerge la fragilità del territorio italiano: il 18,2% del valore aggiunto è prodotto in aree a rischio frane o sismicità. E se da un lato la produzione da fonti rinnovabili è triplicata in vent’anni, il nostro Paese è ancora indietro rispetto ai partner europei, anche per l’assenza del nucleare.
La transizione digitale e tecnologica è un altro terreno decisivo. L’Italia investe ancora troppo poco in R&S, e il numero di professionisti in ambito scientifico e tecnologico è inferiore di 10-17 punti percentuali rispetto a Spagna, Germania e Francia.
Eppure c’è un potenziale inespresso: le imprese più giovani, con personale under 35, sono le più innovative, più digitalizzate, più resilienti. È su questo capitale umano che bisogna scommettere, sostiene l’ISTAT.
Serve un patto intergenerazionale
Il Rapporto si chiude con un invito: fare delle nuove generazioni il perno della rinascita del Paese. Sostenere la loro formazione, rimuovere gli ostacoli all’ingresso nel lavoro, promuovere una cultura dell’innovazione. E offrire loro – in cambio di quanto già perduto – una fiducia nuova.
Chelli conclude così: “Le statistiche non raccontano solo il passato. Se lette bene, aiutano a progettare il futuro. Un futuro dove ogni generazione trovi il suo posto, senza restare indietro.”
com.unica, 23 maggio 2025