Basta il suo nome: Jimi Hendrix, al secolo James Marshall Hendrix, per evocare la prorompente chitarra che fece la storia del rock e che riscrisse la musica del Novecento.

Nacque il 27 novembre 1942 a Seattle, in una famiglia che vantava origini nere, indiane e bianche. Sua madre, che morì quando aveva undici anni, era una afroamericana e il padre di stirpe cherokee. I primi anni di vita li trascorse in una riserva indiana con sua nonna. Imparò a suonare ascoltando la radio e imitandone i suoni. Il suo primo strumento fu un ukulele regalatogli dal padre quando aveva nove anni che presto rimpiazzò con una chitarra. Anticonformista, con un che di selvaggio, coronò la sua breve esistenza amando intensamente la musica e vivendo fuori dagli schemi. Sperimentò sound intensi e ricchi, dalle forti radici blues, con virtuosismi e sregolatezze sceniche che lo rendevano in qualche modo insopportabile ai compagni di band. Suonava la chitarra con i denti, dietro la schiena, in mezzo alle gambe, strofinandola contro l’asta del microfono. Le sue performance oscuravano tutto il resto, dimostrando una innata attitudine live. Nel 1966 fondò i “Jimmy James and the Blue Flames”, ma il gruppo storico fu quello degli “Experience”, creato da Chas Chandler degli Animals, che scritturò Hendrix a Londra per aprire la sua tournée. Alla band si unì Noel Reddington, chitarrista relegato al basso, e Mitch Mitchell. Uscì il primo singolo “Hey Joe”, suonato con i denti. Ma la consacrazione vera gli “Experience” la ebbero al Pop Festival di Monterey in California, che si tenne il 16, 17 e 18 giugno del 1967. L’esibizione degli Experience fu proverbiale e acclamata da tutti, Hendrix, nei quaranta minuti della sua esibizione, arrivò ad estrarre spasmodicamente nuove sonorità, a tratti lancinanti, mimando finanche rapporti sessuali con la sua chitarra, una Fender Stratocaster rossa dipinta da lui stesso con motivi psichedelici, sacrificata alla fine con il fuoco e distrutta contro gli amplificatori e il palco, in una catarsi che passò alla storia.

Sciolto il gruppo degli Experience per gravi motivi di incomprensione e stanchezza di fronte ai tour de force imposti dal chitarrista, all’uso di droghe e al suo carattere imprevedibile, nel 1969 fondò una nuova formazione di soli neri, affiancato da Billy Cox e Buddy Miles, The Band of Gipsys. Una esibizione memorabile con la nuova band fu quella di Woodstock, in cui Hendrix si accanì selvaggiamente sull’ Inno degli Stati Uniti, trasfigurandolo con rumori di battaglie, sirene di contraerea e simulazioni sonore di bombardamenti e mitragliamenti sui villaggi del Vietnam. Il tutto con la sua sola chitarra.

La fine della Band of Gipsys giunse il 28 gennaio 1970 con la partecipazione al Winter Festival of Peace, tenutosi al Madison Square Garden di New York. Hendrix si presentò sul palco sotto gli effetti della LSD, insultando i fans, rifiutandosi di continuare a suonare dopo aver eseguito solo due pezzi, in un monologo delirante e incomprensibile, finché fu portato di peso fuori dal palcoscenico.

Il 6 settembre 1970, il Festival di Fehmarn in Germania, fu la sua ultima esibizione dal vivo: Hendrix venne accolto da fischi e contestazioni da parte del pubblico.

La mattina del 18 settembre 1970 Hendrix venne trovato senza conoscenza nell’appartamento che aveva affittato al Samarkand Hotel, al 22 di Lansdowne Crescent a Londra. Sfibrato dagli abusi, fu soffocato dal suo stesso vomito causato da un cocktail di alcool e tranquillanti. Aveva ventotto anni. Si parlò di omicidio, ma anche di imperizia da parte dei paramedici che lo soccorsero e che non gli fecero assumere una posizione corretta durante il trasporto in ambulanza.

Jimi Hendrix è ancora oggi considerato il chitarrista più talentuoso sulla scena internazionale. Ebbe come riferimento artistico ed esistenziale Bob Dylan, fu istruito da Frank Zappa su un effetto per chitarra di nuova produzione, scriveva testi inquieti ispirati dai suoi sogni, con riferimenti continui alla morte, alla religione, alla magia. Il suo declino fisico, morale ed artistico era già iniziato nel 1968. I suoi atteggiamenti provocatori divennero eccessivi, venne arrestato diverse volte. Dentro di sé cresceva una smania sconfinata di libertà, si sentiva stritolato dal successo, odiava la società con i suoi atteggiamenti di facciata e le relazioni false e inconsistenti.
L’angoscia che gli mise radici dentro lo distrusse.
Come scrisse il critico Paolo Galori, l’ultimo Hendrix era “un musicista solo e visionario, pronto a volare ancora più in alto, fino a bruciarsi le ali, distrutto dagli eccessi nel disperato tentativo di non replicare se stesso di fronte a chi gli chiede prove della sua divinità“. Gli afro-americani persero colui che aveva restituito l’anima nera al rock’n’roll. La morte di Hendrix fu seguita sedici giorni dopo da quella di Janis Joplin e nove mesi dopo da quella di Jim Morrison. Si chiuse un’epoca: quella dei raduni oceanici, della contestazione in musica, del rock e dell’utopia estrema. Andarono in frantumi i sogni hippy. Gli anni ‘70 portarono nuovi generi e nuove rockstars. Tuttavia l’eco della chitarra scordata di mezzo tono di Jimi Hendrix continuerà a risuonare nei tempi.

(Nadia Loreti, com.unica 18 settembre 2017)