Non dimentico mai di ricordarmi: un viaggio verso l’anima

Il filosofo indiano Krishan Chand Sethi, ci guida in un viaggio alla scoperta dell’essenza di noi stessi.
Alcune parole non nascono dal linguaggio, ma dall’esperienza. E quando arrivano, restano. Una frase è entrata nella mia coscienza tanti anni fa e da allora ha continuato a risuonare dentro di me: “Non dimentico mai di ricordarmi.” Non è una frase che ho costruito con cura: è semplicemente emersa come un respiro, una consapevolezza, un sussurro interiore. Col tempo, ho compreso che queste parole non sono abbellimenti poetici, ma una zattera di salvataggio, una bussola.
Viviamo in un mondo che ci spinge costantemente verso l’esterno, verso il successo, l’attenzione, l’immagine, la competizione. In un mondo così, questa frase mi riporta a casa. Non in un luogo, ma alla mia essenza. Questo scritto, dunque, non è solo un articolo. È una passeggiata tra i miei pensieri, i ricordi, le lezioni e i riconoscimenti silenziosi raccolti in decenni, alcuni gioiosi, altri pesanti, tutti significativi.
La prima volta che mi sono dimenticato
All’inizio della mia carriera professionale attraversai un periodo che molti avrebbero definito “d’oro”. Arrivavano inviti da ogni parte. La gente mi lodava. Venivo citato. Celebrato. Ma dentro, qualcosa non andava. Una sera, tornato da un evento letterario, mi sedetti da solo. Guardai alcuni miei versi e provai un vuoto strano. Le parole erano levigate, le metafore affilate, ma mancavano di anima. Erano create per impressionare, non per esprimere. Quella notte non scrissi nulla. Rimasi in silenzio, ad ascoltare un silenzio che avevo ignorato. E da quel silenzio emerse questa dolce consapevolezza: “Hai dimenticato di ricordarti”. Non era una critica. Era un richiamo alla verità.
Cosa significa veramente ricordarsi?
Significa fermarsi. Respirare non solo fisicamente, ma mentalmente. Smettere di recitare per gli altri e iniziare a riflettere dentro. Non si tratta di richiamare un’identità passata, ma di rientrare nello spazio dell’onestà interiore. Ricordarsi è come riconoscere il proprio riflesso in un’acqua immobile dopo anni di corsa. È riconnettersi con quella parte di sé che non ha fame di applausi, ma sete di senso.
Mi sono dimenticato troppe volte
Sarebbe falso dire che non ho mai perso la strada. L’ho fatto. Tutti lo facciamo. Ci dimentichiamo quando cerchiamo con troppa forza di essere accettati. Quando reprimiamo la nostra verità per mantenere armonia. Quando inseguiamo ciò che brilla e abbandoniamo ciò che ci radica. Eppure, ogni volta che mi sono ricordato, sono tornato più forte, più semplice, più vero.
Ricordo una volta, durante una cerimonia internazionale, quando il pubblico applaudì al mio nome. Sorrisi. Salii sul palco. Ma dentro di me una voce rammentava quella di mio padre scomparso che mi diceva: “Non dimenticare mai chi eri prima che tutto questo cominciasse”. Quella voce mi accompagna sempre.
Il ruolo della solitudine
La solitudine è spesso fraintesa. La si confonde con l’assenza di sé. Ma la vera solitudine nutre. È in quelle ore silenziose che mi rivedo. Sto senza parlare. A volte scrivo, altre volte no. Guardo gli alberi, vecchie fotografie, o soltanto il soffitto. E lentamente, come una nebbia che si dirada, sento una sensazione familiare e rassicurante: sono ancora qui.
Il mondo non si ferma. Le chiamate arrivano. I messaggi lampeggiano. Le responsabilità non scemano. Ma qualcosa dentro di me cambia. Mi radico. Divento consapevole. Presente. E da quella presenza torno alla vita con più profondità.
Poesia pittorica e vera creatività
Spesso mi chiedono: “Com’è nata la Poesia Pittorica?” Si aspettano una storia grandiosa o un momento di ispirazione divina. Ma la verità è più semplice: è nata durante uno di quei momenti di ricordo.
Avevo lavorato con le parole per anni, ma sentivo un vuoto. Una sera guardai una vecchia foto di mia madre e pensai di scrivere qualche parola poetica in suo ricordo: e se una poesia potesse parlare non solo attraverso le parole, ma anche attraverso l’immagine e la sensazione? E se la poesia diventasse un viaggio visivo?
Così è cominciata. Non come strategia o dimostrazione, ma come risposta sincera a un desiderio silenzioso. Ed è questo il dono del ricordarsi: genera originalità. Quando scriviamo o creiamo restando radicati in noi stessi, ciò che nasce non è artificiale. Forse non sarà di moda, ma sarà eterno.
Anche nelle relazioni
Ho visto quanto facilmente ci perdiamo nei rapporti. Doniamo troppo. Parliamo poco. Ci adeguiamo. A volte l’amore diventa un travestimento in cui scompariamo silenziosamente. Ma il vero amore, che sia verso un coniuge, un amico, una causa, non chiede di sparire. Invita a incarnare la propria presenza pienamente. Mia moglie, Sunita, è stata specchio e testimone in questo percorso. Mi ricorda, con dolce fermezza, di ritornare quando mi allontano troppo. Il nostro legame è cresciuto non nella perfezione, ma nella persistenza, nel ricordarsi di sé e dell’altro.
Memoria culturale e il lavoro realizzato
Il libro fotografico “Daman Diu, Goa, Dadra Nagar Haveli e il regime portoghese (1510–1961)” non è solo storia, è guarigione. Quel progetto mi ha riconnesso con l’eredità, con storie dimenticate, con voci trascurate. Scrivendolo, ho ricucito una parte di me verso la completezza.
Anche la cultura dimentica. Le generazioni vanno avanti, e nella fretta di modernizzarsi, amputiamo le radici. Quel libro è stato un atto di memoria culturale.
Cosa fa il ricordarsi alla scrittura
Quando scrivo di me stesso ricordato, la mia mano rallenta. Divento più sincero, meno ornamentale. Le parole respirano. Portano calore, anche quando parlano di dolore. I lettori spesso mi scrivono: “Questa poesia mi ha toccato nel profondo”. Non perché l’ho scritta per loro, ma perché l’ho scritta da me. E tutti condividiamo certi dolori, speranze e domande.
Un messaggio per i giovani
Cari giovani, il mondo vi assegnerà etichette. Alcune vi piaceranno. Altre vi feriranno. Ma nessuna è la vostra verità. La vostra verità vive silenziosa dentro di voi, spesso sotto strati di rumore. Non misurate il vostro valore in numeri: follower, voti, stipendi. Quelle cose cambiano. Ciò che non cambia è la luce che portate dentro. E per sentirla dovete fermarvi. State con voi stessi. Non di fronte a uno schermo, ma davanti alla vostra anima. Chiedetevi spesso: “Sto vivendo la mia storia o il copione di un altro?”
Un messaggio per chi si sente perso
Se ti sei dimenticato, non sei solo. La maggior parte di noi lo è, prima o poi. Quello che conta è essere disposti a ritornare. Non hai bisogno di vacanze, maestri spirituali o grandi cambiamenti. Serve solo un momento. Una tazza di tè in silenzio. Una lunga passeggiata col telefono spento. Una conversazione con una vecchia fotografia. Sono rituali che ci riportano dentro. Non serve ricordare tutto. Basta cominciare con qualcosa: una convinzione, un sogno, una verità cara.
Pratiche quotidiane che mi aiutano
Ecco alcune abitudini che mi aiutano a ricordarmi:
- Mie mattine in silenzio, senza prendere subito il telefono.
- Scrivere un diario autentico, non per registrare la giornata, ma per scovare cosa mi ha mosso.
- Dirmi di no, alle cose che non sento in sintonia.
- Rileggere vecchie lettere scritte nella giovinezza.
- Guardare il cielo, soprattutto al crepuscolo.
Sembrano cose semplici. Ma nella semplicità sta la loro forza. Ognuna è un filo che mi riavvicina a chi sono.
Conclusioni
Non pretendo di aver padroneggiato questo “arte”. Alcuni giorni mi dimentico. Alcuni giorni mi perdo nella frenesia. Ma la differenza ora è che torno più in fretta. Non rimango perso a lungo. Perché ho fatto una promessa, silenziosa, a me stesso:
“Non dimenticare mai di ricordarmi”.
E ogni volta mi sento intero. Non perfetto, ma presente. Non impeccabile, ma vero. E in quella verità c’è pace.
Dr. Sethi K.C.*, com.unica 1 luglio 2025
*Scrittore, filosofo, Daman (India) – Auckland (Nuova Zelanda)