Habemus Papam. Leone XIV, un nome antico per una Chiesa nuova

Il nuovo Pontefice è l’americano di Chicago Robert Francis Prevost. Tra riforme, sfide globali e continuità con Francesco, la sua elezione apre una fase inedita nella storia del cattolicesimo mondiale
Città del Vaticano, 8 maggio 2025 – Alle 19:16 di un 8 maggio terso, le campane di San Pietro squillano come se cercassero di farsi udire fin dentro i meandri del tempo. Dal comignolo della Cappella Sistina si leva finalmente il fumo bianco, che non è soltanto segnale d’elezione ma metafora d’un passaggio: come un respiro che, dopo giorni d’attesa, esce dal petto della Chiesa universale. “Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!” Così, con la formula antica e solenne, il cardinale protodiacono ha annunciato al mondo che il successore di Pietro è un uomo nato a Chicago: Robert Francis Prevost. Ma già lo si chiama Leone XIV, nome scelto in omaggio ai pontefici riformatori del passato, in particolare a Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, dei diritti dei lavoratori, della modernità che non temeva la giustizia sociale.
“La pace sia con tutti voi fratelli e sorelle carissimi. Questo è il primo saluto del Cristo Risorto e anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, tutti i popoli. Dio ci ama tutti incondizionatamente.” Queste sono state le prime parole di Papa Leone XIV, accolte da applausi scroscianti da una piazza San Pietro gremita, soprattutto quando il Santo Padre ha citato e ringraziato il suo predecessore. Al suo ricordo, la gente ha risposto con urla e applausi. “Senza paura, mano nella mano con Dio e tra di noi, andiamo avanti. Aiutateci voi a costruire ponti con il mondo. Grazie a Papa Francesco” ha poi proseguito il nuovo Pontefice.
Un papa americano. Mai era accaduto. Ed è come se la bussola del mondo ecclesiale avesse smesso per un momento di puntare verso Roma, per virare verso le Americhe, come a dire che la cattolicità non ha più centro se non nel suo stesso decentrarsi. Robert Prevost nasce il 14 settembre 1955 nella Chicago delle mescolanze, delle comunità italoamericane, francesi e spagnole. Una città-mosaico che sembra anticipare, in forma urbana, quella che sarà la sua vocazione: tessere insieme differenze. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza negli Stati Uniti, studiando prima nel Seminario minore dei Padri Agostiniani e poi, alla Villanova University, in Pennsylvania, dove, nel 1977, consegue la laurea in Matematica e studia Filosofia. Nello stesso anno a Saint Louis entra nel noviziato dell’Ordine di Sant’Agostino (Osa), nella provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio di Chicago, ed emette la prima professione il 2 settembre 1978. Il 29 agosto 1981 pronuncia i voti solenni. Riceve la formazione presso la Catholic Theological Union di Chicago, diplomandosi in Teologia. E all’età di 27 anni viene inviato dai suoi superiori a Roma per studiare Diritto canonico alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum). Nell’Urbe viene ordinato sacerdote il 19 giugno 1982 nel Collegio agostiniano di Santa Monica da monsignor Jean Jadot, pro-presidente del Pontificio Consiglio per i Non Cristiani, oggi Dicastero per il Dialogo Interreligioso. Diventa cittadino peruviano. Non per gesto formale, ma per appartenenza reale. E proprio là, lontano dai palazzi della Curia romana, scopre una Chiesa che cammina – come dirà poi – “con la polvere sotto i piedi”.
Il Conclave del maggio 2025 si è aperto in un clima di continuità e discontinuità insieme. Francesco aveva tracciato una via, quella della Chiesa sinodale, povera, accogliente. Ma erano molte le attese, le visioni, le correnti. In lizza c’erano nomi pesanti: il cardinale Parolin, diplomatico d’esperienza; il filippino Tagle, erede del sogno asiatico del cattolicesimo. Eppure, al quarto scrutinio, i voti hanno preso a convergere su Prevost. Non l’uomo dei media, né quello delle grandi manovre. Ma il “moderato pragmatico”, l’amministratore che conosce le periferie, il teologo poliglotta che parla con la stessa naturalezza a un contadino del Cajamarca e a un nunzio in Africa. “Abbiamo scelto un ponte tra le sponde”, avrebbe sussurrato un cardinale latinoamericano uscendo dalla Sistina.
Leone XIV: un nome e una visione
“Che nome prenderà?”, si mormorava tra le ombre fresche dei colonnati berniniani. “Leone XIV”, ha risposto lui. Un salto nella storia. Ma anche un messaggio. Non il Pietro dell’urgenza, non il Gregorio della diplomazia. Ma il Leone che ruggisce con compassione. Un papa che vuole vedere nel passato la chiave per leggere il futuro. Nel suo primo saluto dalla loggia delle benedizioni, ha detto soltanto: “La pace sia con tutti voi”. Parole disarmanti, che ricordano Francesco. Ma dette con un tono che sembrava voler dire: vi parlo da pastore, non da sovrano.
Le sfide che attendono il pontefice
La Chiesa di Leone XIV non nasce nel vuoto. Alle sue spalle ci sono le ferite degli abusi, le tensioni con la Cina, la secolarizzazione d’Europa, la frammentazione dottrinale interna. Davanti a sé ha una mappa complessa da ricomporre. E poi c’è la geopolitica. La sua cittadinanza statunitense – seppure mitigata da decenni vissuti altrove – desta qualche perplessità nei circoli più attenti all’equilibrio internazionale. “Un Papa americano in un mondo già sbilanciato verso Washington?”, si chiedono alcuni. Ma altri rispondono: “No, un Papa che è americano come Francesco era argentino: cioè universale”.
La sua conoscenza profonda dell’America Latina, dove vive il 40% dei cattolici, sarà una carta fondamentale. Così come la sua attitudine all’ascolto. Da priore generale degli Agostiniani, ha gestito divergenze, riformato i processi interni, promosso figure nuove. Come vescovo di Chiclayo, ha imparato a camminare tra i contrasti. Leone XIV non è uomo di gesti teatrali. Non si attende da lui l’effetto sorpresa. Piuttosto, una lenta coerenza. Ha già fatto sapere che non stravolgerà la Curia, ma rafforzerà la collegialità. Che non ama le contrapposizioni ideologiche, ma crede nella forza delle testimonianze concrete. Il suo motto – se mai ne adotterà uno ufficiale – potrebbe essere “camminare insieme”, syn-hodos, il cuore stesso del Sinodo. È atteso al varco sul tema delle donne nella Chiesa, sull’accesso ai ministeri, sulla trasparenza economica. Ma anche sulla capacità di ridare slancio spirituale a una fede che, in molte parti del mondo, si va spegnendo.
“È un momento storico per la Chiesa cattolica”, ha twittato RaiNews. Ed è vero. Un papa americano rompe un tabù mai detto, ma sempre presupposto. Che il pontificato dovesse rimanere, in fondo, una questione euro-mediterranea. Leone XIV ha rotto quel cerchio. E, nel farlo, ha aperto un sentiero che altri seguiranno. “Siamo entrati in una geografia nuova”, ha detto un teologo tedesco, “e anche in una grammatica nuova”.
com.unica, 8 maggio 2025