[ACCADDE OGGI]

Il 14 novembre 1951 l’ira di Giove, che era anche il dio della pioggia, unita all’ira del dio Po fece strage del Polesine in quella che è ricordata come uno dei più grandi disastri naturali d’Italia. “… Dove prima la gente gioiva è un’immensa laguna di morte …” canta il verso di una canzone popolare ferrarese. E i morti accertati furono 91 tra cui 84 vittime intrappolate nel “camion della morte” inabissatosi nelle acque limacciose di Frassinelle Polesine. Il Polesine, per la gran parte nella provincia di Rovigo, in origine era una terra paludosa, da sempre minacciata dalle acque dei grandi fiumi che l’attraversano, l’Adige e il Po, e dopo le diverse bonifiche divenne un territorio prevalentemente dedito all’agricoltura. I suoi abitanti, contadini e braccianti di grande esperienza e di gran lavoro erano quelli che durante i primi scioperi socialisti avevano cantato inneggiando al trascinatore Gino Piva “Evviva Gino Piva, che col suo bel parlare, tutta la provincia ha fatto ribellare”. Molti tra loro verranno a stabilirsi nell’Agro Pontino dopo che anche quella palude fu bonificata e restituita alla terra. E furono i figli di quei contadini che, con sforzo sovraumano, si trovarono a lottare, nei giorni della seconda quindicina del novembre del 1951, per cercare di fermare le acque che, dal cielo e dai fiumi ingrossati, tumultuosamente tentavano di portar via ogni loro avere: case, terre e la vita stessa di quegli uomini. Fu una lotta dura protrattasi per giorni e giorni di pioggia ininterrotta che si abbatté su tutta la zona e particolarmente sui comuni di Castelmassa, Melara, Bergantino, Pincara, Canaro, Vallone, Garofolo, Frassinelle.

Verso la sera del 13 novembre la situazione sembrò migliorare e apparve quasi sotto controllo, ma alle 19.45 del 14 novembre accadde l’irreparabile cosi descritto dalle cronache di quelle ore: “…  si sentì un forte boato: il fiume aveva rotto l’argine maestro, il fiume Po ruppe a Vallone di Paviole, in Comune di Canaro mentre una seconda rottura alle ore 20.00 si verificò in località Bosco in Comune di Occhiobello. … L’acqua si portava via tutto quello che trovava, i mobili delle case, gli animali, gli uomini…”. Alla fine si conteranno quasi un centinaio di vittime e il numero dei profughi costretti a lasciare le proprie abitazioni sarà compreso tra 180.000 e 190.000 unità. Andarono perduti 6.000 capi di bestiame bovino. Incalcolabile il numero degli altri animali d’allevamento deceduti. …” Per le vittime del “camion della morte è bene rifarsi alla cronaca del giornalista Gino Fantini sul “Gazzettino” del 16 Novembre 1951: “…Il camion parti da Rovigo a mezzanotte. Era stato requisito quando le notizie dai lontani argini del Po avevano annunziata una situazione insostenibile… Il viaggio fu subito avventuroso. Giunti verso Villamarzana e poi al Canal Bianco, le strade facevano spavento, mettevano i brividi. Una teoria infinita di pianti, una fila interminabile di carri e di carriole carichi di donne, di bimbi, di masserizie  … Dietro i carri, a intasare le strade, un procedere lento di buoi, di vacchette, di cavalli spinti avanti da irose bastonate e da urla isteriche. … Il camion andava avanti perché più lontano altri più esposti al pericolo attendevano un soccorso. Ma a Frassinelle l’acqua montante, vertiginosamente, dirotta l’automezzo su un cascinale dove erano concentrate, sbigottite, circa trenta persone. Il carico si effettuò convulsamente: qualcuno voleva restare e voleva partire nello stesso tempo. Guardava la sua terra la sua casa 200 metri più in là e non sapeva decidersi a staccarsene. Finalmente, sulle tre di notte l’autocarro prese la via del ritorno; era rimasto, agli indugi, inesorabilmente attardato. L’acqua gli montava alle spalle con un crescendo impressionante, le ruote scavavano nel fango, il motore faticava. In tre chilometri la catastrofe. Improvvisa l’ondata si profilò anche davanti: la piena della seconda “rotta” aveva aggirata la posizione e congiungeva le sue masse. Il camion fu bloccato in un istante. In pochi istanti l’acqua fu sopra le ruote. Quel che è successo dopo i sopravvissuti lo ricordano come un incubo straziante. …”.

L’alluvione del Polesine, per estensione delle terre allagate e per volumi d’acqua esondati è ricordata, come la più grande alluvione che ha colpito l’Italia in epoca contemporanea. Si aprì una gara di solidarietà nazionale ed anche estera verso le popolazioni colpite. Migliaia di giovani si riversarono sui luoghi del disastro per dare il loro apporto ai soccorsi. La popolazione del Polesine si ridusse dall’originario numero di residenti di ben 80.000 unità, dato praticamente invariato in oltre mezzo secolo fino al censimento del 2001. L’esodo che per anni aveva portato i contadini di quei luoghi in altre terre a causa della miseria e della fame vide, da allora, la motivazione del disastro narrale a cui la mano degli uomini non fu mai estranea.

(Franco Seccia, com.unica, 14 novembre 2019)