In occasione della celebrazione del bicentenario dei versi dell’Infinito di Giacomo Leopardi, Salvatore Di Fede intratterrà con una dotta conversazione gli amici della Fondazione Levi Pelloni lunedì 4 marzo a Roma (I Lunedì di Via Vittoria, via Vittoria, 24 – ore 16,30). Si tratta di un’occasione magnifica per riaccostarsi all’intero universo leopardiano, a partire da quei versi che, dopo 200 anni, non solo non hanno perso nulla della loro capacità fascinatoria, ma hanno semmai acquistato ulteriore grandezza, lucentezza e godono di una contemporaneità, o meglio atemporaneità, che solo i capolavori assoluti possiedono.

Leopardi, poi, dopo essere stato relegato a lungo in un polveroso vano della memoria scolastica, ha riacquistato fascino e interesse, soprattutto per i più giovani. Scritta tra il 1818 e il 1819 e pubblicata nel 1826 la poesia “L’infinito” compie 200 anni ma non li dimostra, potrebbe essere stata composta prima o dopo, non ha età perché esprime sentimenti, stati d’animo ed emozioni universali che appartengono al patrimonio dell’umanità. Si tratta in effetti di una delle poesie più famose della letteratura italiana e mondiale.

Salvatore Di Fede

Sui 15 endecasillabi sciolti di cui è composta la critica letteraria si è lungamente esercitata nell’esegesi e nella parafrasi del testo, soprattutto per facilitarne la comprensione più fedele delle intenzioni dell’autore agli studenti che dovevano impararla a memoria e recitarla. Ma anche per coglierne in tutti i suoi aspetti più reconditi un filo conduttore, un significato, un messaggio che non smette di affascinare e commuovere chi si accinge o si esercita nella lettura. Osservando il manoscritto conservato presso la Biblioteca nazionale di Napoli, se ne intuisce la stesura in un’unica soluzione, una sorta di trasposizione grafica di una riflessione intima e personale che il giovane Leopardi espresse come una rappresentazione ‘istantanea’ illuminata dal suo genio e dalla sua specialissima sensibilità.

Poesia che tutto contiene: il vicino e il lontano, il dentro e il fuori, il passato, il presente, il futuro. Una sorta di ricapitolazione di tutte le cose, come direbbe San Paolo: degli enigmi, delle sofferenze, dei desideri, delle gioie, dei dolori, delle speranze, degli abbandoni, delle similitudini, delle differenze, delle intuizioni, della natura umana e della tensione al suo superamento. Un’allegoria complessa, unica e irripetibile che compendia l’immaginazione di un genio in un messaggio fortemente intimista che anticipa l’intuizione di Mozart quando scrisse, anni dopo, distinguendo la musica dagli spartiti…” tutto è stato composto ma non ancora trascritto”. Una lettura quanto mai attuale se meditata e assaporata come un dono prezioso in questo mondo precluso e insofferente che spesso fa rima con indifferente. 

(com.unica/ Francesco Buono, 27 febbraio 2019)