“Isabella e Lucrezia. Le due cognate” (Marsilio) è il nuovo libro di Alessandra Necci, vincitrice del Premio FiuggiStoria 2013 con il libro dedicato alla vita di Nicolas Fouquet, Sovraintendente delle Finanze di Luigi XIV, “Re Sole e lo Scoiattolo”.

Il racconto di un’epoca straordinaria narrata e vista attraverso lo sguardo di due donne altrettanto straordinarie: la marchesa di Mantova Isabella d’Este, moglie del marchese Francesco Gonzaga, e la duchessa di Ferrara Lucrezia Borgia, sposa del duca Alfonso d’Este, fratello di Isabella.

Nel XVI secolo, al tempo in cui l’Italia è frammentata in numerosi piccoli stati, Isabella d’Este Gonzaga e Lucrezia Borgia, profondamente diverse tra loro per indole e storia familiare, e diventate cognate, lasciano il segno nella storia e nella cultura dei loro casati e delle loro città. Mantova, con Isabella e il marito Francesco II, si arricchisce di innumerevoli splendori artistici, mentre la corte di Ferrara è definita nel Rinascimento “la prima città europea”.

Tutto questo e non solo nel nuovo libro di Alessandra Necci, già vincitrice del Premio FiuggiStoria 2013 con il libro dedicato alla vita di Nicolas Fouquet, Sovraintendente delle Finanze di Luigi XIV, “Re Sole e lo Scoiattolo”, intitolato “Isabella e Lucrezia. Le due cognate” (Marsilio). Si tratta di una doppia biografia dedicata a due donne molto importanti ed ingombranti per la loro epoca. Biografie che sono anche il “pretesto” per restituirci con obiettività e completezza l’intero Rinascimento italiano Un Rinascimento che non è solo “l’età dell’oro” trasmessaci da una lettura troppo agiografica, ma è anche e soprattutto una fase tragica, complessa, densa di contraddizioni e dicotomie. Una fase che dice molto del nostro Paese. Un Paese raccontatoci il più delle volte come ricco di individualità a volte straordinarie, ma incapace di un progetto comune e quindi impossibilitato a divenire uno stato nazionale.

Abbandonati i suoi precedenti e fortunati personaggi francesi, in questo suo accattivante romanzo-saggio, la Necci rivolge la propria attenzione e la curata ricerca sull’Italia attraverso le vicende di Isabella e Lucrezia, appunto le due cognate. Questo racconto, dedicato alle due grandi signore del Rinascimento, era nato come documentario a firma della stessa Necci e Marta La Licata e andato in onda, per la regia di Fedora Sasso, per i nottambuli di Rai Storia.

Isabella d’Este marchesa di Mantova è la primadonna assoluta del Rinascimento italiano. Davanti a Isabella d’Este, in Gonzaga, quindi marchesa di Mantova, si sono inchinati ossequiosi Leonardo da Vinci e Tiziano, Ariosto e Baldassar Castiglione. Hanno abbassato il capo a riverenza sinanco Papi, sovrani e ambasciatori, poiché la signora, a cui il marito Federico impegnato in imprese militari lascia spesso il governo del piccolo stato, è anche leggermente irascibile e decisamente poco accomodante. Nata a Ferrara nel 1474, promessa sposa a soli sei anni, per rinsaldare i legami d’amicizia con i vicini, Isabella è una bambina prodigio che gli orgogliosissimi genitori avviano presto allo studio delle lingue antiche e della retorica. Si sposa nel 1490, mette al mondo sette figli, chiude un occhio sulle scappatelle del vivace marito (la più nota quella con la di lei cognata Lucrezia Borgia), accoglie nella sua brillantissima corte poeti ed artisti, raccoglie opere d’arte e libri. Gioca anche scacchi e il matematico fra’ Luca Pacioli le dedica un trattato sull’argomento. Isabella è, fra le altre cose, una corrispondente eccezionale, una vera grafomane scrive 53 lettere al pittore Perugino, scrive alla cognata ed intima amica Elisabetta Gonzaga, infelice moglie di Guidobaldo da Montefeltro duca di Urbino, scrive alla figlia Eleonora, nuova duchessa di Urbino.

Dal forte temperamento e con la vocazione al comando tiene testa a personaggi come Cesare Borgia, ma entra in conflitto con il figlio nuovo sovrano. E nonostante i primi anni del ‘500 non siano per l’Italia in periodo tranquillo, Isabella riesce anche a dettare legge sulla moda del tempo inventando infiniti accorgimenti negli abiti, negli accessori e nella cosmetica, diffonde la moda del toupet, trova la formula di deliziosi profumi e sperimenta un antenato del dentifricio. E’ una delle prime grandi dame a portare i calençon, cioè le mutande, ed in una divertente lettera a Baldassar Castiglione racconta proprio dello sprofondamento del palco dove lei si trovava insieme ad altre signore le quali “fecero un bel vedere che erano senza calzoni; noi per fortuna li avevamo”. A noi oggi, oltre a queste pagine di Alessandra Necci, resta il ritratto che le fece il Tiziano nel 1534, che ce la ricorda elegantemente vestita e nel fiore della beltà.

Tutt’altra storia é la vita di Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara. Amante dall’amore e dai molti matrimoni, ci è stata tramandata quale donna dai furori uterini e alquanto perversa, ma soprattutto bella. Tanto bella che quel feticista di Pietro Bembo era uso conservare tra i libri un suo ricciolo d’oro.

Dovrebbe essere nata in quel di Subiaco 1l 18 aprile 1480, terzogenita del cardinale spagnolo Rodrigo Borgia, potente e ricco vicecancelliere della Chiesa, e di Vannozza Catanei, una donna romana dalle probabili origini lombarde. Educata nel convento di San Sisto e in seguito affidata alla cure della cugina del Papa, Adriana Mila, a dodici anni viene fatta fidanzare, per procura, con Don Gaspare da Procida, un nobile spagnolo. Vincolo che sarà poi sciolto dal padre, diventato papa Alessandro VI, che la diede in moglie a Giovanni Sforza signore e vicario della Chiesa per Pesaro

Dopo un breve periodo di felice vita coniugale Lucrezia ritornò a Roma e qui, essendo stato per volontà del papa dichiarato nullo il matrimonio, sposò secondo i nuovi disegni del pontefice, Alfonso d’Aragona, duca di Bisceglie figlio naturale di Alfonso II re di Napoli. Ma l’alleanza del fratello Cesare con i Francesi distrusse l’opportunità di questo matrimonio e, mentre Lucrezia era nominata governatrice di Foligno e poi di Nepi, si preparava un attentato contro Alfonso. Questi, sfuggito agli sgherri che avevano tentato di assassinarlo nel luglio del 1500, veniva strangolato dagli uomini di Cesare Borgia. Lucrezia andò allora in sposa ad Alfonso d’Este, primogenito del duca di Ferrara, che dovette, pur riluttante, accettare (30 dicembre 1501). Alla corte estense Lucrezia, che fin qui era stata un docile strumento nelle mani del padre e del fratello, fece dimenticare il suo passato e diventò con la sua bellezza e la sua intelligenza ben presto popolarissima. Disinteressandosi della politica e promuovendo invece una fantasiosa ed intellettuale vita di corte, celebrata da poeti come l’Ariosto, il Bembo, il Trissino, raccolse attorno a sé uomini tra i più famosi del Rinascimento. Ma dal 1512 la splendida signora non apparve più circondata dal suo gioioso ed elegante corteggio. La sua vita, per le sventure che colpirono lei e la casa ferrarese, si fece più raccolta: passò lunghi periodi in convento a chiedere perdono “per li peccati de questa nostra etade”. A 39 anni morì d’aborto.

Due donne da conoscere, per comprendere un periodo storico intrigante, ricco di contraddizioni, che vedono le corone di Francia e di Spagna fronteggiarsi per la supremazia in Europa e nel nuovo mondo, i prìncipi e i duchi italiani, la classe politica del tempo, gretti, rissosi e municipalistici, incapaci di pensare ad un futuro di prosperità, appoggiarsi o meglio mettersi a disposizione dell’una o dell’altra potenza pur di salvare un minimo di potere entro le mura della loro cittadella. Sono gli anni che vedono, dopo la pace di Lodi, un periodo di rinascita culturale nel nostro Paese, accompagnata però da una decadenza politica ed economica, mentre furoreggiano le pagine del Machiavelli e del Guicciardini. Insomma sono gli anni di “Franza o Spagna purchè se magna”. Detto antico, di moda, ahinoi!, anche ai giorni nostri, attribuito a Guicciardini, che fu anche ambasciatore di Firenze in Spagna presso la corte di Ferdinando il Cattolico. Ed è proprio da Guicciardini, testimone della “ruina dell’Italia”,che nasce la storiografia moderna, che si libera una volta per tutte dell’angusta prospettiva municipale della storiografia tradizionale Finalmente fuori dai confini di Firenze per abbracciare le vicende dell’Italia nel suo insieme, a loro volta inserite e spiegate nel quadro della grande politica europea, in cui la nostra penisola svolgeva un ruolo allo stesso tempo secondario, e tuttavia tragicamente rilevante.

Sono anni di grande interesse per comprendere il carattere nazionale e le patologie dei nostri tempi. Anni poco indagati dalla recente storiografia e che questo libro della Necci mette sotto la lente del lettore con una scrittura piana e coinvolgente. Come si conviene ad un romanzo-saggio storico di qualità.

(Pino Pelloni, com.unica 6 maggio 2017)