Dal sovrannaturale magico al meraviglioso scientifico: il romanzo della scrittrice inglese Mary Shelley.

Siamo nel XIX secolo e Frankenstein, prototipo del romanzo fantascientifico, emerge dall’aura del gotico cupo e burrascoso, in uno sfondo sociale e culturale suggestionato da una parte dal pragmatismo americano, dall’altra dal socialismo russo. È il primo esperimento scientifico in chiave letteraria, in cui il terrificante, l’agghiacciante, il raccapricciante, che nel gotico erano stati avvolti nella magia, ne diventano i cardini strategici, i perni. Mary Shelley, scrittrice inglese, precorse la corrispondenza tra scienza e fantasia e, con un atteggiamento assolutamente moderno, mise in luce le pericolose conseguenze del progresso.

Il romanzo fu pubblicato per la prima volta, in forma anonima, l’11 marzo 1818. Le critiche furono sfavorevoli e il romanzo fu giudicato orribile. Ai più era sfuggito la lezione morale e in parte politica che trapelava dalle pieghe del racconto. La genesi del romanzo va ricercata nell’amicizia tra Mary, il suo futuro marito Percy Bisshe Shelley, sua sorella Claire e Lord Byron. Nel maggio 1816, sua sorella Claire, divenuta l’amante di Byron e in attesa di un figlio da lui, convinse sua sorella a prendere in affitto una villa a Ginevra vicino al lago, dove li raggiunse Byron, amareggiato dalle vicende politiche londinesi e ormai ostracizzato, e John William Polidori, suo medico personale, che diventerà famoso per il romanzo Il Vampiro. Era un’estate piovosa e spesso, la sera, la compagnia di amici si ritrovava accanto al camino a leggere storie tedesche di spettri. In una di queste occasioni Byron lanciò la sfida: ognuno di loro avrebbe dovuto scrivere una storia di fantasmi. Una notte Mary fece un sogno orribile, in cui un giovane scienziato era inginocchiato accanto a una creatura mostruosa che prendeva vita grazie a una forza misteriosa. L’incubo e la fantasia scatenata dalle conversazioni degli uomini sul galvanismo e la possibilità di forgiare un essere vivente infondendo in esso la vita, generarono in Mary l’idea di Frankenstein, la storia di uno scienziato che diede vita a una creatura mettendo insieme membra e organi di cadaveri trafugati nei cimiteri. Mary inizia il racconto cercando di ricreare l’atmosfera di terrore che aveva vissuto nel sogno: lo scienziato, spaventato dalla sua stessa creazione che aveva preso vita grazie all’elettricità accumulata nel suo corpo e scaricata dai fulmini in una notte tempestosa, fuggì abbandonando il suo lavoro, sperando che l’essere sarebbe morto. Ma non fu così. La creatura, in segreto, comincia a seguirlo. Sorpreso e sconvolto per la propria solitudine, il mostro voleva capire: “Satana aveva i suoi compagni che lo ammirassero e incoraggiassero; ma io sono solo”. La creatura- Frankenstein, alienata dalla società per le sue sembianze sgraziate e deformi, percependosi come un demone, chiede giustizia allo scienziato: “fate il vostro dovere verso di me” e lo supplica per avere una compagna. Victor Frankenstein spinto a compassione accetta la richiesta, per poi distruggere la nuova creazione, per il timore “che una razza di diavoli si propagasse sulla Terra”, scatenando la furia omicida della sua creatura. Nel romanzo non c’è via d’uscita e i protagonisti vivono lo spasmo della reciproca persecuzione fino alla morte di uno dei due. L’intera storia si snoda intorno al rapporto difficile, intricato e ambivalente, fatto di attrazione e repulsione, tra il dottor Frankestein, scienziato folle e maledetto, e il mostro che prese il suo nome. Shelley spinse Mary a elaborare la storia, che fu strutturata in forma epistolare, per aumentare il senso di inquietudine e di suspence. Il sottotitolo del romanzo, The Modern Prometheus, allude all’aspirazione, ma anche alla presunzione degli scienziati di poter fare qualsiasi cosa, sfidando la natura e il destino, per sconfiggere ogni malattia e debolezza umana.

Il romanzo, nonostante le critiche ebbe un grande successo letterario. La sorpresa fu ancora più grande quando alla seconda edizione si scoprì che l’autore era, evento a dir poco straordinario per quei tempi, in realtà una donna molto giovane, di ventuno anni. Mary aveva profonde conoscenze letterarie, conosceva Rousseau, Locke, Milton, Coleridge e l’alchimista tedesco Joan Konrad Dippel. Aveva letto il Don Chisciotte e Il Monaco di Matthew Gregory Lewis. Fu forte l’influenza del padre, William Godwin, che aspirava a un nuovo ordine sociale basato sulla benevolenza universale. Non mancarono interpretazioni politiche dell’opera, che in una visione marxista appariva come il contrassegno dell’emergente proletariato industriale. I conservatori radicali avevano preso come modello il mostro di Mary Shelley per paragonarlo agli effetti delle ribellioni e delle sollevazioni popolari sin dai tempi della Rivoluzione Francese, facendo propaganda contro le tendenze ateiste, comparando uno stato senza religione a un corpo senz’anima. Appunto quello di Frankenstein.

Il romanzo non appartiene al gotico tradizionale in cui la natura resta intatta: qui viene invasa e manipolata in percorso irto di intrecci, in cui domina il rapporto ossessivo tra Frankenstein e il suo alter ego spettrale, in una spirale tragica e discendente che porta entrambi alla scomparsa definitiva. È in questa spirale che il lettore vede quanto i difetti della creatura rispecchino quelli dello scienziato e come entrambi finiscano per soccombere al male, alla vendetta e infine alla morte. Successivamente l’opera è stata trattata come il primo romanzo di fantascienza.

“Ti chiesi io, Creatore, dall’argilla
di crearmi uomo, ti chiesi io
dall’oscurità di promuovermi…?
” – John Milton, Paradiso Perduto

(Nadia Loreti, com.unica 10 marzo 2017)