La storia del pugile tedesco di etnia sinti Johann Trollmann, qui raccontata da Emiliano Deiana e riproposta in occasione della Giornata della Memoria. Una storia fino ad oggi poco conosciuta, riscoperta di recente da Dario Fo, che ha narrato in forma romanzata la vita del campione nel suo libro Razza di zingaro (Ed. Chiarelettere).

Raccontami una storia. 

È la cosa più bella che un bambino possa chiedere ad un uomo. Una roba che rimanda alla capacità degli antichi di raccontare, alla bellezza dell’oralità, del racconto, del canto, dell’aedo che se ne va in giro a dirne di storie.
Ed oggi, ancora oggi, quel bambino sono io. E lo chiedo a me stesso di raccontarmene una di storia antica. Di quelle infettive, però. Di quelle che infettano l’anima: anche se non sono più storie di bambini.
È questa, difatti, la storia di un albero: Rukelie, tenetelo a mente.
Gli alberi che crescono sopra e sotto: in fusto e radici, che nella lussureggiante verzura risplendono tanto più affondano la loro idea nella carne della terra.
Un albero, in sostanza, è questo: volersi proiettare verso il cielo restando ben piantato a terra; tendenze d’infinito e paura di volare. Questo è un albero, alla fin fine.
Rukelie, tenetelo a mente.
L’albero, in lingua sinti: gli zingari. Che mille volte te l’hanno raccontato – a te, bambino! – che sarebbero venuti gli zingari a rubarti. Quelli brutti, sporchi e ladri!
Rukelie, nasce nel 1907, ma non è ancora albero e la sua tragedia ancora manco si intuisce: si chiama per il mondo e per la Germania solo Johann Trollmann. Rukelie lo diverrà dopo, quando la tragedia sarà pronta a dispiegarsi, ma non prima che quel fusto d’albero sia stata ammirato, amato.
Perché Johann Trollmann è bello come può essere uno zingaro in un mondo di biondi.
Johann Trollmann danza, è veloce, saetta. Ma non è il Palcoscenico, il suo palcoscenico: è un ring di boxe, perché è sui ring che la vita si rappresenta meglio nell’eterna lotta con la morte, nello sfuggirgli, nel decretarla, nell’incassarla, in quella strana forma di pietà che ti prende quando l’avversario sfinito, con gli occhi ribaltati ti si aggrappa e i corpi sudati diventano uno, e uno il fiato, e uno il sangue che zampilla dalle narici e dalle gengive spaccate.
Provate ad immaginarvelo un albero che danza, i capelli come la chioma di un grande albero scosso dal vento. Immaginatevi Cassius Clay prima di Cassius Clay, uno che vola come una farfalla e punge come un ape. Su un ring.
E a Cassius Clay prima che fosse Cassius Clay appiccicategli una faccia come quella di Carlos Monzon, ma con gli occhi buoni. Una faccia maledetta e un poco triste.
Inizia a battersi Johann Trollmann ed iniziano a chiamarlo Rukelie. Un albero che danza, e punge: come un’ape. Con quella faccia zingara alla Carlos Monzon prima che Monzon sia solo l’idea di un guerriero indio.
La Germania non è ancora entrata nel delirio nazista, nell’ossessione della razza. Quel pittore fallito è ancora un pittore fallito che vaneggia nelle birrerie di Monaco di Baviera mentre Rukelie combatte, picchia, danza, vola, punge.
E adesso pensate a uno zingaro che mette radici, come un albero. Una pura contraddizione perché l’istinto è quello di andare, di muoversi. E il movimento di Johann è nella galera del ring.
Poi arriva il delirio, dopo il ’33, ma Johann è troppo preso a danzare nell’inferno di quelle sale fumose, in quel limite d’abisso oltre il cordame che lega – ancora per poco – il ring alla bitta della vita.
Ed iniziano a dire che quel suo modo di combattere non ha nulla a che fare con il pugilato ariano: due messi lì, al centro del ring a scambiarsi cazzotti pesanti come blocchi di cemento. Roba da idioti, a dirla tutta. Non vogliono che danzi, i nuovi padroni della Germania. Johann Trollmann non deve danzare.
Ed arriva lo scontro con Adolf Witt, finalmente. Per la Corona dei Medi, in Germania.
Rukelie danza, contro il molosso tedesco. Scivola sul ring come si scivola sul ghiaccio, scivola e colpisce: velocissimo. Dopo qualche ripresa il molosso ariano è sfinito.
Le SS presenti in sala tentano di fare pressioni sulla giuria per sovvertire il risultato chiarissimo a tutti i presenti: vincitore ai punti Johann Trollmann, l’albero.
I nazisti rischiano di essere linciati dal pubblico inviperito e la vittoria viene assegnata – ultima delle giustizie in vita – a Rukelie.
Lo avete mai visto un albero piangere? Un albero agile come una gazzella e forte come una roccia? Un danzatore del ring prima che Classius Clay fosse solo un’idea, prima che Carlos Monzon fosse una faccia. Perché anche Rukelie è un “angelo dalla faccia sporca”, a dirla tutta.
Piange Rukelie, quelle lacrime calde e d’oro che se ne scendono dal fango della faccia per buttarsi nell’abisso e nell’ignoto.
Ma l’affronto per la vittoria contro Witt doveva essere pagato.
Prima gli tolsero il titolo con una motivazione ridicola: che quelle lacrime con le quali aveva festeggiato la vittoria non erano degne di un vero pugile.
E poi i nazisti organizzano un nuovo match: Trollmann deve affrontare Gustav Eder che in seguito diventerà Campione Europeo dei pesi medi. Rukelie sa già come andrà a finire ed allora architetta l’ultima, estrema beffa.
Si presenta sul ring col corpo cosparso di farina bianchissima e coi capelli tinti di biondo.
E resta fermo, al centro del quadrato. A farsi massacrare da Eder.
Con un gesto, un solo gesto tutta la retorica ariana venne spazzata via: meglio di Jesse Owens, prima di Jesse Owens. I nazisti ridicolizzati da uno zingaro nel luogo – il ring – cantato anche dal Fuher nel Mein Kampft.
Immaginatevi Cassius Clay – con la faccia di Carlos Monzon – col corpo cosparso di farina e i capelli biondo platino, fermo al centro del quadrato, a farsi prendere a pugni da un ottuso molosso crucco.
Poi è una lentissima discesa agli inferi.
Gli ultimi combattimenti dove i nazisti, che avevano ormai degradato gli zingari (prima degli ebrei) a non-umani, gli gridavano: sdraiati, zingaro! E ridevano, osceni coi baffi all’ammollo nella schiuma delle birre.
Poi venne richiamato, nel ’42, dalla Wermacht e mandato al fronte, poi arrestato dalla Gestapo e deportato nel lager di Neuengamme, vicino ad Amburgo.
E neanche lì quella storia venne dimenticata.
Denutrito, insultato, schiavizzato veniva utilizzato come sparring partner per dare sfogo alle estreme frustrazioni dei più crudeli fra gli aguzzini.
Poi immaginatevi un cortile, un cortile di fango.
Con la pioggia mista a neve che cade.
Un uomo, un uomo solo. Semisvestito e coi guantoni da pugile indosso.
Un ring infinito, anche per un albero.
Poi crolla a terra, sfinito. Come un albero segato da un fulmine.
Forse una pallottola, forse un colpo di badile.
E così venne sepolto Johann Trollmann, Rukelie.
L’albero.
Nel fango, coi guanti da boxe.
Con la pioggia aguzza che cade sopra tutta la crudeltà umana.
E la nostra indifferenza.

Emiliano Deiana, 27 gennaio 2016