Jannik Sinner scrive un pezzo di storia sul prato di Wimbledon

“Ho usato la sconfitta di Parigi per vincere qui”. La lezione del fuoriclasse altoatesino, primo italiano a trionfare nel torneo più prestigioso al mondo
È una giornata storica per lo sport italiano perché è la prima volta che un nostro atleta trionfa a Wimbledon, nel torneo più prestigioso, in 137 edizioni. Nessuno, prima del ragazzo di San Candido, era riuscito a spingersi così in alto nel giardino dell’All England Club. Lui l’ha fatto, senza proclami e senza gesta da gladiatore. Solo col suo tennis lucido, preciso, intelligente. Lo ha fatto davanti ai reali d’Inghilterra – William, Kate, i figli – e al re di Spagna Felipe. E ovviamente davanti ai suoi familiari, a mamma Siglinde, che a fine partita lo ha stretto in un abbraccio più vero di ogni foto ufficiale.
Nel tempio dell’erba, dove il silenzio pesa più dei colpi, un ragazzo italiano dai capelli rossi e dallo sguardo mite ha scritto un pezzo di storia. “Ho usato la sconfitta di Parigi per vincere qui,” ha detto Jannik Sinner sollevando il trofeo più antico del tennis. In quella frase, pronunciata con la semplicità di chi conosce il silenzio della montagna forse più del fragore del campo, c’era racchiusa una verità più grande del tennis. Wimbledon, si sa, non perdona leggerezze. E nemmeno la retorica. Ma oggi, tutto ha avuto il sapore del riscatto. Perché quella sconfitta dolorosa al Roland Garros, consumata contro lo stesso Alcaraz, avrebbe potuto lasciare una crepa. Invece, ha generato un ponte. A Parigi, poche settimane fa, Sinner aveva perso la finale in cinque set, sciupando tre match point nel quarto. Sarebbe bastata una scusa, un lamento, un’accusa al destino o al dolore alla gamba. E invece niente. Solo parole giuste: “Carlos ha giocato meglio.” E poi silenzio e duro lavoro fino alla vittoria sull’erba sacra.
Quella lezione vale più di mille repliche in slow motion: la vera grandezza non sta nel vincere sempre, ma nel saper perdere con grazia, e trasformare quella ferita in energia. In un mondo dove si urla e si accusa, lui ha saputo rispondere con grande umiltà. “Individuare le proprie debolezze richiede coraggio”, ha osservato Alec Ross in un post su facebook. E lavorare in silenzio, giorno dopo giorno, permette di trasformare la delusione di una sconfitta in nuova forza. La grande vittoria di Jannik Sinner non è solo il trofeo d’oro che oggi ha stretto tra le mani. È il modo in cui ha saputo reagire alla sconfitta di Parigi e mostrato che il carattere non si costruisce vincendo, ma imparando dalle cadute. Una lezione per i giovani ma non solo: la resilienza spesso è più forte del talento e l’umiltà è una condizione necessaria per crescere. Una lezione che vale per tutti, in ogni campo: si può eccellere senza urlare, si può vincere senza distruggere l’altro.
Jannik non fa proclami, non alimenta polemiche, non cerca nemici. La sua forza è nel lavoro silenzioso, nello studio del gioco, nella fedeltà a un’etica sportiva che sembra dimenticata. È per questo che oggi, più che festeggiare un successo italiano a Wimbledon, dovremmo ringraziare per qualcosa di più raro: un vero esempio. In un’Italia che spesso premia chi urla di più, chi si dichiara “puro” screditando l’altro, chi non riconosce mai il valore dell’avversario, Sinner è un’anomalia gentile. Non farà scuola, forse. Ma resterà come una linea tracciata sull’erba che nessuno potrà più cancellare. Oggi ha vinto il torneo più importante al mondo ma domani ricomincerà ad allenarsi. In silenzio, con rispetto. E noi, se saremo capaci di guardare oltre il punteggio, potremo dire di aver imparato qualcosa. Anche senza una racchetta in mano.
Il racconto della finale: quattro atti di una sinfonia
E dire che il primo atto della finale non era stato promettente per l’italiano. Alcaraz, col suo tennis fatto di lampi e impeto, si era preso il primo set 6-4. Jannik aveva perso il servizio dopo essere stato avanti 4-2: quattro game di fila concessi allo spagnolo, come se un’ombra di Parigi si fosse riaffacciata. Ma è stato lì che qualcosa si è acceso. Nel secondo set, Sinner ha trovato subito il break, ha alzato la testa ed è riuscito a limitare al massimo gli errori. Meno prime in campo, ma più idee. Ha pareggiato i conti con un altro 6-4, come a dire: “Sono ancora qui”. Nel terzo parziale, il capolavoro tattico: un Sinner maestro di geometrie e pazienza, che nel nono gioco strappa il servizio con un dritto lungolinea da manuale. Alcaraz, che aveva fin lì risposto con acuti spettacolari e distrazioni infantili, ha guardato il suo angolo cercando spiegazioni. Ma l’unica risposta era sotto i suoi occhi: l’italiano stava giocando meglio. Più solido, più maturo, più pronto.
Il quarto set ha chiuso il cerchio: break subito, due palle-break salvate sul 4-3 con freddezza da chirurgo. E poi il match point: un rovescio incrociato, le mani al cielo, gli occhi lucidi. Tre ore e quattro minuti per costruire un capolavoro. Alla fine nessuna smorfia, nessun gesto teatrale. Solo colpi precisi, passi leggeri, sguardi grati. Lo ha detto anche Alcaraz, con sportività: “Hai giocato un grande tennis. Te lo sei meritato.”
Sebastiano Catte, com.unica 13 luglio 2025