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Un’immane strage di quanti ebbero a cuore la casa e non la vita

Portici è uno dei comuni italiani più densamente abitato alle porte di Napoli e a Portici, una lapide ancora visibile fatta murare dal Viceré di Napoli Emanuele Fonseca Zunica, ammonisce in latino il viandante a fuggire al minimo rumoreggiare del Vesuvio: “Posteri, posteri è nel vostro interesse, l’esperienza vissuta ammaestra la vita a venire vigilate venti volte da che brilla il sole, è storia, non favola fu in eruzione il Vesuvio sempre con immane strage di quelli che hanno indugiato. Ammonisco perché d’ora in poi non ghermisca gli incerti. Questo monte ha gravido il ventre di bitume, allume, ferro, zolfo, oro, argento, nitro e fonti d’acque. Presto o tardi sarà incandescente e con gli influssi del mare li partorirà. Però prima dell’eruzione si sconvolge e scuote la terra manda fumo, lampeggia, vomita fiamme, squassa orribilmente l’aria emette muggiti, boati, tuoni. Fa allontanare dalle loro terre i vicini. Spicca il volo finché ti è consentito, da un momento all’altro scoppia, e rompe impetuosamente. Vomita un lago di miscela di fuoco precipita in celere corsa, preclude la fuga tardiva. Se ti ghermisce è finita: sei morto! Nell’anno di salute 1631, il 16 dicembre, regnando Filippo IV ed essendo viceré Emanuele Fonseca Zunica, conte di Monterey.”

E ancora, sempre sulla lapide di Portici, si leggono gli inviti perentori a firma del Marchese Antonio Suarez Messia Marchione vice soprintendente alla cura dei ponti e delle strade: “Verificatasi nuovamente la calamità dei tempi passati ed essendo provveduto con grande umanità e munificenza ai relativi soccorsi Il Vesuvio, temuto, ha serbato in vita. Non tenuto in degli incauti e degli avidi considerazione, ha fatto strage per i quali la casa e le masserizie contavano più della vita. Allora, se hai giudizio, presta ascolto a questa lapide eloquente non curarti della casa, non badare ai bagagli: fuggi, senza alcuna esitazione!”.

La storia del Vesuvio, questo vulcano di una bellezza “terrificante” che   domina e impreziosisce il golfo di Napoli, è una storia antica di quasi duemila anni. Due millenni durante i quali il territorio si è modellato secondo i suoi voleri, è diventato fertile e allettante, lussureggiante e invitante, persino salubre e ammiccante: un grandissimo scrigno d’oro che custodisce un mostro dormiente. Nella storia recente il mostro si è svegliato una decina di volte e solo in due o tre occasioni si è svegliato di cattivissimo umore. In una di queste volte, nel 79 a.C., si prese il lusso di sotterrare intere città e nella sua furia omicida, non sappiamo se consapevolmente, ci ha lasciato due tesori di città perfettamente conservate sotto il manto delle sue ceneri distruttive: Pompei ed Ercolano.

Un’altra volta, in epoca molto più recente, nell’aprile del 1906, il suo risveglio fu più docile e i morti contati furono quasi trecento tra i quali una decina a Napoli per il crollo della tettoia di un mercato nei pressi dell’attuale Piazza Carità. Ma il 16 dicembre 1631 il suo risveglio fu tremendo: distrusse quasi completamente le città di Portici, Resina, Torre del Greco e Torre Annunziata e danneggiò gravemente i grossi centri di Ottaviano e Somma Vesuviana. I morti furono quasi 4000 e oltre 50000, furono quelli che persero la loro casa. Non danneggiò particolarmente Napoli e sono in tanti quelli che credono che la lava e le ceneri si arrestarono quando, per ordine dell’arcivescovo, una solenne processione mostrò al Vesuvio le reliquie di San Gennaro.

Oggi, il mostro ancora dorme nella sua bella montagna del Vesuvio. Dorme dal gennaio del 1944, quando infastidito e svegliato dai fragori della guerra, sputò ceneri e lapilli sulla testa degli occupanti marocchini, inglesi e americani che lo filmarono con le loro cineprese forsanche per rabbonirlo.

(Franco Seccia/com.unica 16 dicembre 2019)