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“Non c’è nulla in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita …”. Sono le parole di Stendhal la sera del 12 gennaio 1817 alla seconda inaugurazione del Teatro San Carlo di Napoli. La prima inaugurazione del più antico teatro d’opera in Europa e del mondo ancora attivo v’era stata il 4 novembre 1737 il giorno dell’onomastico di Carlo di Borbone, re di Napoli e di Sicilia dal 1731 al 1759, capostipite della dinastia dei Borbone di Napoli. Fu per volontà di Carlo di Borbone che nacque il Real Teatro di San Carlo poi solamente Teatro San Carlo di Napoli. L’opera, per una capienza di 3.000 posti, fu realizzata con un impegno di spesa di 75.000 ducati pari a circa 1.500.000 euro di oggi in solo otto mesi di lavoro e reca la firma dell’architetto Giovanni Antonio Medrano e del costruttore Angelo Carasale. Lo stemma del Regno delle Due Sicilie sovrasta il maestoso arcoscenico del teatro, col quale si fonde nella magnificenza e la grandiosità dell’architettura, gli addobbi sontuosi in azzurro che rappresentavano il colore ufficiale della Casa Borbonica Due Sicilie, poi sostituito, dopo l’unità d’Italia, con il rosso quando allo stemma del sottarco fu sovrapposto quello sabaudo. Il San Carlo nacque 41 anni prima della Scala di Milano e 51 anni prima della Fenice di Venezia e apri il cartellone della stagione delle “opere serie” la sera del 4 novembre del 1737 alla presenza del re con l’opera Achille in Sciro del Metastasio musicata da Domenico Sarro che diresse l’orchestra. La parte di Achille fu sostenuta, come usanza dell’epoca, da una donna, Vittoria Tesi, detta la Moretta, con accanto Anna Peruzzi, detta la Parrucchierina, prima donna soprano e il tenore Angelo Amorevoli. Fu un successo che travalicò i confini del regno e Napoli divenne la capitale della musica europea. Il San Carlo fu, dal quel momento, considerato il traguardo a cui aspirava la carriera dei più grandi musicisti e cantanti europei: da Johann Hasse a Franz Joseph Haydn, da Johann Christian Bach a Christophe Gluck. Sulle tavole del San Carlo consolidarono il loro successo i più famosi cantanti dell’epoca: da Lucrezia Anguiari, detta la Bastardella a Caterina Gabrielli, detta la Cochetta, ai celeberrimi castrati Caffarelli (Gaetano Majorano), Farinelli (Carlo Broschi), Gizziello (Gioacchino Conti) e Gian Battista Velluti ultimo cantante evirato.

La notte del 12 febbraio 1816 un incendio distrusse completamente il Real Teatro di San Carlo e l’eco della sciagura raggiunse le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ferdinando I di Borbone succeduto al trono di Napoli e delle Sicilie dopo che il padre era divenuto re di Spagna, 6 giorni dopo il disastro incaricò l’architetto toscano Antonio Niccolini di ricostruire il teatro così come era prima dell’incendio. Così in solo 300 giorni il San Carlo venne completamente ricostruito, fu ampliata la sala con aggiunta di poltrone,  fu migliorata l’acustica che ancora oggi è ritenuta perfetta, furono rinnovate le decorazioni ad opera di artisti del calibro di Camillo Guerra e Gennaro Maldarelli e Giuseppe Cammarano dipinse il soffitto tuttora esistente (Apollo che presenta a Minerva i più grandi poeti del mondo) e rifatto il sipario che definitivamente trovò sistemazione con l’opera di Giuseppe Mancinello tutt’ora in uso e che rappresenta “Il Parnaso”, fu rifatta la facciata in pieno stile neoclassico. Stendhal scriverà: “Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare… Chi volesse farsi lapidare, non avrebbe che da trovarvi un difetto. Appena parlate di Ferdinando, vi dicono: ha ricostruito il San Carlo!».

Il Teatro San Carlo di Napoli in 278 anni di storia ha rappresentato e rappresenta il maggior vanto nel Tempio della Musica. Qui, sulle sue tavole si sono esibiti i più grandi artisti di tutti i tempi, da Fernando De Lucia a Beniamino Gigli, a Ferruccio Tagliavini, Luciano Pavarotti, Placido Domingo, José Carreras, Giacomo Lauri-Volpi, Tito Schipa, Enrico Caruso, Giuseppe Di Stefano, Alfredo Kraus, Mario Del Monaco e Franco Corelli, da Renata Tebaldi a Maria Callas, Magda Olivero, Maria Caniglia e Toti Dal Monte, Raina Kabaivanska, Leyla Gencer, Mirella Freni, Montserrat Caballé, e l’elenco potrebbe continuare.

Fra le sue poltrone e nelle sue sale è passata la storia di Napoli e quella d’Italia. Niente lo ha scalfito nel prestigio non gli stemmi sovrapposti delle case regnanti, nemmeno l’uso di platee politiche e men che meno l’oltraggiosa requisizione inglese del 1944 quando diventò la sede per gli spettacoli da offrire alle truppe occupanti. La sua storia è più alta di quella degli uomini perché è nella mani di Apollo che presenta a Minerva i più grandi poeti del mondo.

(Franco Seccia, com.unica 4 novembre 2020)