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Bruno Pontecorvo o Bruno Maksimovic Pontekorvo, ma forse stante – dopo quarant’anni- “la sua disillusione e il suo rammarico” per aver preferito l’Unione Sovietica al suo paese l’Italia, basta Bruno Pontecorvo per indicare il fisico allievo di Enrico Fermi, il più giovane tra i “ragazzi di via Panisperna”, morto in Russia a Dubna a un centinaio di chilometri da Mosca il 24 settembre 1993.

Il mondo intero – ma principalmente i servizi segreti – si interessò al caso di questo eminente scienziato, considerato il capofila degli studiosi delle particelle subatomiche elementari di massa chiamate neutrino già nei laboratori di via Panisperna a Roma, che nel 1950, nel pieno della guerra fredda e della contrapposizione tra Occidente e Oriente, scelse di andare a vivere nell’ex Unione Sovietica naturalizzandosi cittadino russo e ponendosi al servizio del “piccolo padre” Joseph Stalin. Il motivo dell’interesse dei servizi segreti alla fuga dello scienziato nell’oltre cortina di ferro erano da ricercarsi nelle conoscenza che lo stesso aveva avuto dei progetti per la costruzione della bomba atomica americana quando riparò in America da Parigi per sfuggire alla persecuzione dei nazisti contro gli ebrei. Bruno Pontecorvo, infatti, pisano di origine e fratello maggiore del noto regista Gillo Pontecorvo, era di origine ebraica anche se senza fede fino a quando, appunto a Parigi, incrociando gli ambienti dei fuoriusciti di mezzo mondo, una fede lo travolse e lo catturò fino al punto di farlo diventare convintamente ateo, marxista e comunista. Furono questi e non altri i motivi della sua scomparsa dall’Italia e dall’Europa quando nel 1950 fece perdere le sue tracce come in un novello caso Majorana. Scelse liberamente la sua patria ideale fino al punto di farsi adottare con un nome di assonanza sovietica.

La morte lo colse il 24 settembre 1993 nella sua casa russa e non più sovietica con la tristezza nel cuore per aver visto crollare i suoi ideali con “disillusione e rammarico”.

(Franco Seccia, 24 settembre 2020)