Artemisia Gentileschi, un’eroina tutta da scoprire del Seicento Barocco. Ha dovuto aspettare tre secoli per essere riconosciuta come una grande pittrice e non essere solo ricordata per il processo per stupro.

Il 14 giugno 1653, muore a Napoli Artemisia Gentileschi, pittrice italiana di scuola caravaggesca. Prima donna ad essere accettata all’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze nel 1616, fu in buoni rapporti con i più importanti artisti del tempo, come Cristofano Allori e seppe conquistarsi i favori e la protezione di personaggi influenti, come il Granduca Cosimo II de’ Medici e soprattutto della Granduchessa-madre Cristina. Intrattenne rapporti epistolari con Galileo Galilei. Dal forte temperamento, la sua pittura si impone per il tratto drammatico e prorompente, inusuale per una donna, lontana dall’arte elegiaca del padre, dal quale fu iniziata al linguaggio naturalistico della pittura romana dei primi del XVII secolo.

Nelle sue opere agiscono immagini femminili opulente, spesso eroine bibliche impegnate in imprese truci e cupe, avvolte in stoffe ricercate, descritte con una pittura dagli impasti impreziositi di una forte luminosità, esaltata da importanti contrasti chiaroscurali. Cresciuta nel realismo caravaggesco, la pittrice sottraeva le scene all’atemporalità dell’iconografia biblica proiettandole nel presente, vivificato dagli oggetti, dai costumi e dalla quotidianità in cui sono calate le azioni dei personaggi, immortalandole in una narrazione che non lascia indifferente lo spettatore. Donna di straordinaria bellezza e avvenenza, come riportano le descrizioni mondane dell’epoca, diede le sue sembianze a molte eroine energiche e formose che compaiono nei suoi dipinti. Il suo successo e il suo fascino le costarono per tutta la vita illazioni e pettegolezzi. Il suo catalogo non è molto esteso, essendo andata perduta molta della sua produzione realizzata a Firenze per il Granduca di Toscana e la maggior parte delle opere dipinte nel lungo soggiorno napoletano.

Artemisia nacque a Roma nel 1593 dal pittore toscano Orazio Gentileschi, esponente di primo piano del Caravaggismo Romano, e da Prudenzia Montone, che morì prematuramente, quando Artemisia era ancora molto piccola. Ebbe il suo apprendistato artistico presso la bottega paterna, dove imparò il disegno, a impastare i colori e a dare lucentezza ai dipinti. Dimostrò presto un talento precoce che venne alimentato dall’ambiente romano dell’epoca, piuttosto stimolante, e dal fermento artistico che animava la sua casa, frequentata da molti pittori.

Suo padre Orazio aveva rapporti familiari con Michelangelo Merisi detto il Caravaggio e probabilmente Artemisia lo conobbe personalmente. L’apprendistato con il padre rappresentò per Artemisia l’unico modo per esercitare la pittura, poiché alle donne era precluso l’accesso alle scuole di formazione, al lavoro e alla possibilità di avere un ruolo sociale. Ebbe un’esistenza travagliata e piena di difficoltà. Nel maggio del 1611, all’età di 18 anni, fu stuprata da Agostino Tassi, pittore maestro di prospettiva, amico del padre Orazio, con il quale egli era impegnato nella decorazione a fresco delle volte del Casino delle Muse, nel Palazzo Pallavicini Rospigliosi a Roma. Lo stesso Gentileschi denunciò il Tassi alle autorità, dopo che costui non aveva potuto rimediare alla violenza con un matrimonio riparatore, in quanto già sposato. Ne seguì un processo spietato di cui esistono numerosi documenti, da cui emergono i metodi inquisitori del Tribunale Papalino di Tor di Nona e la crudezza del racconto di Artemisia, che fu sottoposta alla tortura delle Sibille (pollici schiacciati e unghie strappate), perché la sua testimonianza fu giudicata non attendibile: era passato troppo tempo tra lo stupro e la denuncia, quindi doveva essere stata accondiscendente, poiché era una donna di facili costumi. Lo stupro segnerà per tutta la vita Artemisia che, nel 1612, accetterà di sposare il pittore Pierantonio Stiattesi, per riacquistare onorabilità, dignità e un po’ di sollievo dalle sofferenze patite. La tela che raffigura Giuditta che decapita Oloferne, realizzata nel 1613 e conservata nella Galleria degli Uffizi di Firenze, impressionante per la scena descritta, rappresenta una rivalsa rispetto alla violenza subìta: il volto dell’assiro Oloferne è quello di Agostino Tassi. Nel 1614 si trasferì a Firenze con il marito, sperando in una nuova vita. Qui avranno quattro figlie, ma i rapporti non saranno idilliaci, l’uomo non riesce a reggere il confronto con lei e si sente inferiore.

Nel 1621 Artemisia tornò a Roma ormai indipendente e in grado di crescere le figlie da sola. Nonostante la sua fama e l’amicizia con l’umanista Cassiano Dal Pozzo, collezionista e mentore delle belle arti, lavorò a poche commesse e tra il 1627 e il 1630 si stabilì a Venezia. Nel 1630 si trasferì a Napoli, alla ricerca di nuove opportunità di lavoro. Qui ricevette numerosi attestati di stima ed ebbe buoni rapporti con il Vicerè Duca d’Alcalà. A Napoli dipinse per la prima volta tre tele per una chiesa, per la Cattedrale di Pozzuoli. Nel 1638 raggiunse suo padre a Londra, alla corte di Carlo I. Nel 1642, alle prime avvisaglie della guerra civile, lasciò Londra e tornò definitivamente a Napoli, dove lavorò a numerose commesse da parte del collezionista don Antonio Ruffo di Sicilia. Artemisia morì nel 1653.

Fu una donna determinata, che visse con coraggio la sua passione per la pittura. Per molti è stata una femminista ante litteram. Nel 1916, in un saggio dal titolo Gentileschi: padre e figlia, Roberto Longhi, storico e critico d’arte, rivalutò la statura artistica di Artemisia nell’ambito dei Caravaggeschi e disse di lei: “l’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, l’impasto, e simili essenzialità!”Nel 1947 Anna Banti, moglie di Roberto Longhi, le dedicò un romanzo. Nel 1999, la scrittrice francese Alexandra Lapierre scrisse a sua volta un romanzo, partendo dallo studio scrupoloso della biografia di Artemisia Gentileschi e del periodo storico in cui visse, scandagliando il rapporto di affetto e di rivalità professionale tra padre e figlia. Recentemente, nel 2010, è stato pubblicato anche in Italia il romanzo di Susan Vreeland, La passione di Artemisia. Mentre è del 1997 il bel film della regista francese Agnes Merlet Artemisia, passione estrema.

Un’eroina tutta da scoprire del Seicento Barocco, un periodo ricco di grandi movimenti culturali e politici, soprattutto nella Roma di Papa Paolo V Borghese. Ha dovuto aspettare tre secoli Artemisia, per essere riconosciuta come una grande pittrice e non essere solo ricordata per il processo per stupro.

(Nadia Loreti/com.unica, 12 giugno 2016)