Negli ultimi tempi la scuola ha subito notevoli trasformazioni. Sono cambiate le “parole” della scuola: didattica laboratoriale, insegnamento capovolto, competenze, inclusività, classi aperte, apprendimento cooperativo, autovalutazione.

Il punto di partenza è che sono cambiati i giovani.  Ed è stato necessario approcciarsi alla  loro formazione in maniera diversa. Le generazioni di oggi hanno uno stile di apprendimento veloce, prediligono il web, più versatile e aggiornato. I loro interessi nascono e maturano sempre di più all’esterno delle mura scolastiche. Gli insegnanti  iniziano a non essere più visti come i detentori  della cultura. Si ha bisogno di altro: si ha bisogno di fare a casa un lavoro che sfrutti  le potenzialità della ricerca e dei  materiali online, che vengono poi riportati a scuola e applicati ad una didattica laboratoriale,  centrata sulla  persona e sulla socialità. E qui già parliamo di didattica capovolta, o lezione capovolta: un ribaltamento quindi del sistema di apprendimento tradizionale, rigidamente inquadrato nelle lezioni frontali, nei compiti a casa e nelle interrogazioni in classe. Un tempo- scuola reso più produttivo e funzionale, più vicino a un mondo della comunicazione radicalmente mutato, ma anche più vicino al mondo dei ragazzi, ai loro bisogni, alle loro aspettative.

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C’è la necessità di una scuola che arricchisca e che stimoli, anche tramite l’utilizzo più efficace delle risorse interne. L’ innovazione didattica delle classi aperte ha lo scopo di migliorare l’apprendimento e garantire il successo scolastico per tutti, abbattendo la dispersione  in tutte le sue forme, intervenendo con il recupero e con il potenziamento  in tutti gli ambiti disciplinari, intercettando e rispondendo a interessi e potenzialità degli studenti. Le classi aperte costituiscono l’opportunità per un ampliamento significativo dell’attività didattica e permettono di sperimentare modalità di espressione (arte, musica, teatro, cinema) legate al mondo giovanile.

La stessa scuola avverte la necessità di stabilire interazioni efficaci e sinergiche tra il suo interno e l’esterno, con il contesto familiare e territoriale in cui vivono i ragazzi. Da qui la necessità di un progetto formativo unitario, evitando azioni settoriali e separate, ed evitando soprattutto di disperdere le potenzialità di ognuno. Gli insegnanti, in qualità di facilitatori, andranno a creare  significativi punti di contatto tra gli alunni, nella considerazione delle loro specifiche peculiarità, attraverso la costruzione del senso di appartenenza al gruppo, promuovendo la conoscenza e il rispetto reciproco, favorendo atteggiamenti prosociali, dando luogo a relazioni significative di aiuto reciproco, strutturando ambienti di apprendimento, con un percorso che guidi allo sviluppo di determinate conoscenze, abilità e competenze, conseguendo obiettivi  la cui realizzazione richieda il contributo personale di tutti. E a proposito di competenze, arriviamo alle competenze-chiave, denominatore comune della cittadinanza europea, la cui certificazione permette il  confronto tra studenti provenienti da paesi e sistemi formativi diversi. Il Parlamento Europeo nel 2006 ha definito quali siano le competenze chiave per la cittadinanza europea: comunicazione nella madrelingua, comunicazione nelle lingue straniere, competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia, competenza digitale, imparare a imparare, competenze interpersonali, interculturali e sociali e competenza civica, imprenditorialità, espressione culturale.

Le competenze-chiave sono riferite quindi alla realizzazione e allo sviluppo personale, alla cittadinanza attiva, all’inclusione sociale e alla capacità di inserimento professionale, e si ritengono acquisite alla fine della scuola dell’obbligo. Il conseguimento delle competenze sarà delineato nel profilo dello studente e costituisce l’obiettivo del sistema educativo e formativo italiano.

La Scuola italiana pensata dalla Costituzione ha come fondamento l’equità, la valorizzazione delle diversità, la promozione sociale.  Negli anni settanta è stato raggiunto il traguardo dell’integrazione degli alunni con disabilità, fino ad allora esclusi o confinati nelle scuole speciali.  Questo risultato di forte impatto  sociale ha portato con sé un trentennio di studi e dibattiti sull’argomento, che hanno comunque confermato il valore assoluto dell’integrazione, pur se nella realtà le difficoltà sono sempre state tante.

Negli ultimi anni è stata posta l’attenzione ai DSA e infine  ai Bisogni Educativi Speciali (BES), dove il concetto di “speciale” va espresso con un certo riguardo per la persona, senza etichettare o marginalizzare situazioni complesse che altro non sono che risposte personali a bisogni unici, che finiscono per incidere sul “funzionamento” umano.  In antropologia il funzionamento è legato all’interazione tra  fattori  biologici, struttura  del corpo e dell’organismo, competenze personali e sociali, fattori ambientali, per cui può essere facilitato o ostacolato. Per comprendere una situazione Bes non servono diagnosi, ma osservazioni per capire se quel funzionamento è davvero  problematico per quel bambino o ragazzo e attuare interventi “speciali” , nel senso del valore, capaci di portarlo a una migliore soddisfazione dei suoi bisogni, attraverso un approccio pedagogico e didattico. 

Una scuola che include è una scuola che accetta le diversità, è una scuola in cui la diversità è motivo di un sano confronto e di crescita. Insomma stiamo pensando ad una Scuola di qualità, rinnovata nella didattica, attenta a garantire ai giovani l’ingresso nel mondo del lavoro. Una Scuola in cui siano rispettate l’autorevolezza, la dignità e il ruolo degli insegnanti, come sancisce la Costituzione stessa. Non solo una “Buona Scuola”, ma anche e soprattutto una Scuola Vera. Senza scivolare nella trappola di una scuola troppo tecnica, standardizzata e “aziendalizzata”. Senza perdere le tracce di una scuola democratica che educhi allo spirito critico e che dia strumenti per decodificare il mondo che cambia, con le sue sovrastrutture sociali, con le famiglie ridotte allo stremo che non arrivano a fine mese, senza garanzie. Non si deve rischiare che si materializzi la disuguaglianza fra le scuole, con scuole di serie A e scuole di serie B.

Occorre un progetto concreto e a lungo termine che consolidi la scuola democratica, pubblica  e inclusiva, senza essere assoggettati all’andamento ondivago dell’economia e della finanza, squassate a loro volta dal crollo dei mercati, da un flusso migratorio inarrestabile, che ha compromesso Schengen e che sta portando grossi cambiamenti alla fisionomia della nostra società. Vogliamo continuare a credere in una  scuola ricca di vitalità, cultura e passione artistica, in cui sottoscrivere un patto educativo che restituisca speranza ai nostri giovani.

(Nadia Loreti/com.unica, 19 febbraio 2016)