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Pietro Angelerio anche detto Pietro da Morrone fu prigioniero della Chiesa due volte. La prima volta quando, dopo 30 mesi di vacanza del soglio pontificio in uno dei concistori più lungo e travagliato della storia, il 15 luglio 1294 fu eletto Papa e assunse il nome di Celestino V, 192° Pontefice Romano. La seconda volta quando, dopo neanche quattro mesi di pontificato, fece la grande rinunzia e abdicò favorendo l’elezione del nobile signore cardinale Benedetto Caetani che divenuto Papa Bonifacio VIII pensò bene di far imprigionare il suo predecessore nella fortezza di Fumone dove Celestino V morì, forse assassinato, il 19 maggio 1296.

Prigioniero la prima volta, l’eremita molisano, della sua fama di santità che dalle misere e povere grotte scelte a dimora per la sua ascetica contemplazione era arrivata ai potenti del mondo quasi a miracolarli per la risoluzione delle loro controversie dietro l’invocata benedizione apostolica. Chi meglio di un santo monaco poteva risolvere i loro problemi? Chi con maggiore facilità poteva essere manovrato se non lo zotico e sprovveduto eremita che si intendeva solo delle cose divine e manco conosceva il latino giacché per rivolgersi a Dio non gli necessitava la lingua colta?

Così Pietro da Morrone divenne Papa e accettò come un segno del Padre con umiltà, una incredibile umiltà che lo portò ad inginocchiarsi dinanzi ai messi pontifici che in ginocchio gli portarono la notizia della sua elezione. Ma le cose non stavano così come egli le vedeva nelle sue interminabili ore di preghiera e di contemplazione. C’era il potere e la politica che rendevano impraticabile il suo cammino quale successore di Pietro. Così, consigliato, pressato e blandito decise di dimettersi: per viltà come sentenziò il sommo Dante? Forse è un giudizio grave quello dell’Alighieri.

Celestino voleva semplicemente tornare alla sua solitudine tra i suoi confratelli quei padri celestini che allevò e fece crescere come comunità religiosa universalmente apprezzata. Ma gli fu negato. Si aveva il terrore che la sua acclamata santità sconvolgesse le regole dei giochi. E così fu prigioniero per la seconda volta e davvero, rinchiuso in una angusta e tremenda cella di un maniero in Ciociaria in quell’epoca a disposizione della famiglia Caetani. A Fumone, a pochi passi da Fiuggi e da Anagni la città dei Papi. In quella fortezza inespugnabile davanti alle cui mura tutti si erano fermati e che per secoli aveva avvisato Roma e Napoli per i pericoli di possibili invasioni: “Se Fumone fuma, tutta la Campagna trema!”.

Quel giorno del 19 maggio 1296 Fumone non fumò ma una nuvola bianca si levò verso il Papa per forza vittima di giochi a lui oscuri. Naturalmente fu fatto santo e la Chiesa lo ricorda oggi nelle celebrazioni agli altari. Ma la più appropriata celebrazione in suo ricordo si svolge proprio a Fumone con la “festa della perdonanza” in omaggio a quell’anticipo di Giubileo che proprio Papa Celestino volle per confessare e perdonare i peccati degli uomini tutti, anche dei papi.

(Franco Seccia/com.unica 19 maggio 2020)