Tra il 1400 e il 1700 l’Europa fu attraversata da profondi cambiamenti storici e culturali, tra questi le guerre di religione, che colpirono invariabilmente e a turno i cattolici, i luterani, i calvinisti, gli anglicani, ma anche gli ebrei, i musulmani e i laici, tutto ciò che fosse diverso e che potesse costituire una minaccia per l’accentramento del potere e il livellamento della società. La Riforma Protestante creò ulteriori frammentazioni religiose che diedero origine a numerose sette non conformiste. In questo clima si accesero i roghi della caccia alle Streghe. Erano i tempi della misoginia e della esecrazione del sesso femminile. Le donne, colpevoli di attentare alla purezza spirituale, rappresentavano il capro espiatorio perfetto per spiegare i mali del mondo di quel tempo, come le carestie, le epidemie, la fame, la povertà, le guerre e la malasorte. Ignoranti, contadine e superstiziose, spesso erbaiole, guaritrici e levatrici, forse ancora legate a un qualche culto pagano sopravvissuto nelle campagne, venivano accusate di avere rapporti con le creature infernali e di usare la magia, il maleficio e la fattura per danneggiare le persone, soprattutto gli uomini nella loro virilità. Erano devote al Diavolo e si riunivano le notti di luna piena in sabba orgiastici per tributargli onori. Fattucchiere e incantatrici, nell’immaginario popolare erano figure temibili e non mancarono risvolti più pratici e utilitaristici in cui la paura delle streghe fu usata dalle autorità governative come mezzo per sedare le rivolte contadine, come accadde in Tirolo.

La sciagurata caccia ebbe il suo inizio ufficiale nel 1484 con la bolla Summis Desiderantes Affectibus di Papa Innocenzo VIII e fu convalidata dal Malleus Maleficarum, scritto dai due padri domenicani Jacob Sprenger e Heirich Kramer e pubblicato nel 1487. In quattrocento anni furono trucidate nove milioni di donne, in un massacro ritenuto lodevole, perché compiuto nel nome della Croce. I metodi applicati furono sempre gli stessi nonostante le epoche diverse, torture e roghi finali, e non sembrarono mai abbastanza crudeli o ingiusti. A scatenare le denunce ed aprire processi interminabili erano spesso le gelosie, le invidie, le liti per le proprietà e le eredità, le inimicizie e i complotti. Tutto portava alla morte di molti abitanti di piccole comunità, che vivevano schiacciate dalla paura del sovrannaturale. In Italia la caccia alle streghe si concentrò soprattutto nelle regioni del Nord, dove avvennero la maggior parte dei processi.

A Nogaredo, in provincia di Trento, nel 1646 furono incarcerate alcune donne con l’accusa di stregoneria. La fase istruttoria durò quasi un anno e vide coinvolti in tutto quindici persone, tra uomini e donne. Dalla lettura attenta degli atti storici, il motivo che scatenò le denunce era da ricercare in una banale lite nella piazza del paese per della canapa rubata a una delle donne. Il “Processo Criminale per la Distruzione delle Streghe” ebbe inizio il 24 novembre 1646: Maria di Nogaredo, detta Mercuria, fu accusata di stregoneria per aver aiutato ad abortire la ricca Marchesa Bevilacqua. Maria a sua volta coinvolge come colpevoli Domenica Chemelli, detta Menegota, e sua figlia Lucia Cavaden. Le donne erano in lite tra di loro proprio per la canapa che Maria avrebbe rubato a Domenica. Le donne furono sottoposte alla tortura della corda e le confessioni furono estorte sotto la pressione dei tendini e delle ossa che si spezzavano. Mercuria ammise di essere una strega, di aver partecipato a sabba notturni sotto le sembianze di gatto e di essersi unita carnalmente al Diavolo. Confessò anche Lucia, trascinando nel delirio altre donne del paese e confessando di aver stregato un certo Cristoforo Sparamani, sofferente di epilessia, che la madre Cecilia aveva tentato inutilmente di curare. Le donne ammisero di essersi trasformate in gatti e di essere penetrate di notte nella casa di Cristoforo. Dopo aver cosparso il corpo del giovane addormentato di un unguento magico dato loro dal Diavolo in persona, avevano festeggiato nella cucina della casa con pane, formaggio e vino. Questa testimonianza fu determinante e rappresentò l’atto di accusa finale per molte persone coinvolte nel processo. Molti eventi negativi avvenuti nella comunità nel periodo precedente al processo furono imputati alle pratiche di stregoneria delle donne, come un uomo che fu stranamente morso dalle sue vacche e la morte prematura della moglie e della figlia del Giudice Frisighello, Cancelliere del processo. Le donne furono torturate ripetutamente, rasate e denudate completamente per cercare sui loro corpi, al limite della morbosità sessuale, le tracce dei “marchi del Diavolo”. A nulla valsero i tentativi degli avvocati difensori. Il processo si concluse nel sangue e scosse l’intera comunità di Nogaredo, colpendo anche comunità vicine, come Triora e Rovereto.

Il 14 aprile 1647 Domenica Chemelli, Lucia Cadaven, Domenica Graziadei, Caterina Baroni, Ginevra Che Mola, Valentina Andrei, Isabetta e Polonia Graziadei, furono condannate alla decapitazione e al rogo dei loro corpi, tenuta in località Giare e alla quale dovette assistere tutta la popolazione, pena un’ammenda di 25 ducati. Ogni anno a Nogaredo, il 30 aprile e il 1 maggio si tiene una rievocazione storica di quei tristi avvenimenti. “ La stranezza della religione cattolica consiste nel fatto che la crudeltà non è stata considerata peccato capitale”(Michel de Montaigne).

(Nadia Loreti 14 aprile 2017)