L’editoriale del direttore della Stampa Molinari: come rispondere alle due principali minacce che mettono a repentaglio le democrazie occidentali.

Le democrazie industriali si trovano davanti ad una doppia temibile sfida: il jihadismo dall’esterno, il populismo dall’interno. Diverse per genesi, identità e pericolosità entrambe tali minacce possono indebolire in maniera strategica l’Occidente, ed hanno bisogno di risposte urgenti capaci di respingerle e, in ultima istanza, batterle. Il jihadismo è una minaccia alla sicurezza, si origina dalla decomposizione degli Stati nazionali arabo-musulmani in Nordafrica e Medio Oriente ed è portatrice di una rivoluzione sanguinaria che si propone di dominare l’Islam e sottomettere tutti coloro che considera infedeli o apostati. Per rispondere a tale nemico le democrazie hanno bisogno di una dottrina di sicurezza che indichi nei jihadisti il maggiore pericolo esterno, assegnando il compito della difesa alla Nato e siglando intese strategiche con ogni altra nazione – dal Marocco alla Giordania, dalla Russia a Israele, dal Giappone all’Australia – impegnata a combatterlo. Serve dunque un grande patto internazionale contro la Jihad.

Il populismo è anch’esso una minaccia alla sicurezza ma si origina dall’interno, dalla rivolta dei ceti medi impoveriti dalla globalizzazione e bisognosi di nuove forme di protezione economica e sociale. Leader e movimenti che nei Paesi dell’Occidente si propongono di demolire l’establishment dando voce alla rabbia popolare si giovano della carente attenzione dei partiti tradizionali per le nuove forme di povertà. Sconfiggere tale minaccia, disinnescando la genesi del populismo, richiede ai leader delle democrazie avanzate di dotarsi di politiche di crescita e sviluppo capaci di sanare le diseguaglianze, aumentare il tenore di vita e in ultima istanza ridare fiducia a milioni di famiglie sul futuro dei propri figli. Per superare la duplice sfida il metodo non può essere che uno: combattere il jihadismo come se il populismo non esistesse e rispondere al populismo come se il jihadismo non vi fosse. Sono due emergenze parallele, egualmente decisive, ma devono essere affrontate separatamente perché in un caso si tratta di ridisegnare la sicurezza collettiva e nell’altro di riprogettare la prosperità collettiva. I leader che sapranno raccogliere tali sfide potranno ridefinire, rinvigorire e rilanciare il primato delle democrazie nel XXI secolo. Per comprendere l’urgenza di assumere l’iniziativa su entrambi questi fronti bisogna prestare attenzione alle avvisaglie di tempesta ovvero guardare a quanto avvenuto negli ultimi giorni a Quebec City e Lione. Nella città canadese una moschea è stata attaccata con armi da fuoco da un estremista bianco spinto da motivazioni di matrice razzista, causando un pesante bilancio di vittime. Ed a Lione, nel Sud della Francia, la leader del Front National, Marine Le Pen, ha lanciato la corsa all’Eliseo sulla base di una piattaforma ultranazionalista che promette l’uscita da Unione Europea e Nato. In entrambi i casi si tratta di espressioni estreme, ultranazionaliste, del populismo anti-sistema destinate a giovare alla propaganda jihadista che punta a reclutare in Europa e Nordamerica fra i residenti musulmani per moltiplicare gli attacchi. Ovvero, il maggiore rischio per le democrazie è trovarsi imprigionate in una morsa di intolleranza: da un lato i jihadisti, dall’altro l’ultrazionalismo.

La presenza di significativi flussi migratori verso Europa e Nordamerica può aggravare tale dinamica perché i profughi vengono considerati una sorta di invasori dagli ultranazionalisti e le tensioni che innescano vengono sfruttate – non di rado – dalla propaganda jihadista per fomentare odio verso i Paesi di arrivo. Lo scenario peggiore è quello di scivolare verso un confronto diretto fra jihadisti e populisti, gli uni alimentati dagli altri e viceversa: non è scontato ma è possibile. Ecco perché servono in fretta politiche comuni radicalmente innovative, da parte di Europa e Stati Uniti, per disinnescare i pericoli che incombono su tutti noi.

(Maurizio Molinari, La Stampa 12 febbraio 2017)