Era il 9 febbraio 1881 e moriva, a causa di una emorragia violenta, Fedor Michajlovich Dostoevskij. Aveva appena sessant’anni.

Ebbe una vita tormentata, segnata dagli affanni e dalle disgrazie, una salute cagionevole e un temperamento instabile. Lottò continuamente contro le ristrettezze economiche, la passione per l’alcol e il gioco d’azzardo. Era fragile, ipersensibile, irascibile, scontroso, autolesionista. A sette anni ebbe le prime crisi di epilessia, che si accentuarono quando la madre, malata di tubercolosi, si allontanò da casa per rifugiarsi nella tenuta di campagna. Morì quando Fedor-Fedia aveva sedici anni, lasciandolo con suo padre, un uomo avaro, violento e dispotico, che lo relegò alla Scuola di Ingegneria Militare di Pietroburgo. Il suo unico conforto, la lettura di autori come Puskin, Gogol, Schiller, Shakespeare, Hoffmann, Racine, Corneille, Balzac.

Tuttavia un’altra tragedia si abbattè sulla sua povera anima triste e provata: suo padre fu assassinato da alcuni contadini esacerbati dalle sue vessazioni. Inconsapevolmente, mise radice in lui un profondo senso di colpa, poiché troppe volte egli stesso avrebbe voluto uccidere suo padre. Anche se non aveva commesso materialmente il patricidio, provava un intenso rimorso, sentimento che dominerà spesso nei suoi romanzi, soprattutto ne I Fratelli Karamazov, ultimo romanzo scritto da Dostoevskij, dove il tema del patricidio, appunto, si intreccia con il dramma spirituale che scaturisce dal conflitto tra fede, dubbio, ragione e libero arbitrio. Ciò che gli faceva orrore, con il passare degli anni, fu l’accorgersi di essere diventato sempre più scontroso, irascibile, solitario e ubriacone, proprio come suo padre. Nel suo delirante autolesionismo si accusò di un crimine mai commesso, lo stupro di una bambina, descritto nel romanzo I Demoni.

Il primo romanzo, Povera Gente, invece lo scrisse a ventidue anni, e fu una rivelazione: il poeta Nicolaj Nekrasov lo paragonò a un nuovo Gogol. Dostoevskij sentì di essere al centro della società intellettuale, era diventato finalmente qualcuno. I suoi romanzi successivi – Il Sosia, L’affittacamere, Le notti bianche, Cuore debole – non riscossero i favori della critica e del pubblico, che lo accusarono di essersi allontanato dalla realtà umana e sociale russa, tanto apprezzata nel primo libro.

Scoraggiato e depresso, per aggrapparsi a un nuovo ideale, nel 1849 si unì al circolo rivoluzionario capeggiato da Vasilj Petrasevskij – seguace del socialismo utopistico francese di Charles Fourier – per lottare contro le ingiustizie del governo zarista, a favore di una repubblica federativa russa. I giovani rivoluzionari misero in piedi una stamperia clandestina per divulgare le loro idee, ma la polizia zarista li sorvegliava e la notte tra il 22 e il 23 aprile 1849 Dostoevskij fu arrestato insieme ad altre venti persone e condannato a morte. Gli otto mesi trascorsi in prigione furono un’esperienza terribile, descritta perfettamente in un frammento di Delitto e Castigo.

Il giorno dell’esecuzione, il 22 dicembre 1849, fu portato sulla Piazza Semenovskij coperta di neve, in camicia, la testa incappucciata e fu legato a un palo, davanti al plotone d’esecuzione. Ma la fucilazione non avvenne: pochi attimi prima che fosse aperto il fuoco, come in un romanzo, la condanna fu commutata dallo Zar in persona in quattro anni di lavori forzati in Siberia, cui seguirono cinque anni di esilio: la drammatica esperienza darà frutto a le Memorie da una casa di morti.

A lasciare una traccia indelebile nel suo animo fu anche la deportazione in Siberia, dove fu a contatto con una umanità turpe e abietta. Al rientro dalla Siberia, attraverso le sofferenze patite, si allontanò sempre più dal radicalismo sociale, per meditare sul senso della vita, del dolore, della morte e sull’esistenza di Dio.

Tornato a Pietroburgo nel 1859, scrisse le sue opere migliori, pur nelle infinite difficoltà economiche causate dal vizio del gioco, i continui spostamenti, le crisi sentimentali e gli attacchi di epilessia. Pubblicò Umiliati e Offesi, Memorie dal Sottosuolo, il Giocatore, Delitto e Castigo, L’idiota, I Demoni, dove la religiosità del popolo russo si contrappone alla rivoluzione, ritenuta insensata perché atea, Diario di uno Scrittore, Adolescente, I Fratelli Karamazov, romanzo rimasto incompiuto, ma che sancì la sua consacrazione definitiva.

In Russia ormai era considerato un profeta, una sorta di capo carismatico per il popolo. Alla sua morte ebbe onoranze funebri solenni. Oggi è considerato il padre dell’esistenzialismo e il più grande indagatore dell’inconscio e della psiche umana. Tutta la sua opera è fondata sulla lotta tra il bene e il male e sulla dolorosa e lacerante ricerca della verità e di Dio.

(Nadia Loreti, com.unica 9 febbraio 2017)