La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempreYukio Mishima

Era il 25 novembre 1970, quando Kimitake Hiraoka, in arte Yukio Mishima, si tolse la vita tramite seppuku, il suicidio rituale dei samurai. Si trafisse il ventre e fu decapitato da un discepolo e amico fidato, Hiroyasu Koga. Morì dopo aver inneggiato all’Imperatore e allo spirito del Giappone, condannando l’occidentalizzazione, la costituzione del 1947 e il Trattato di San Francisco del 1951, che aveva imposto severe limitazioni militari al Giappone, trasformandolo in un protettorato degli Stati Uniti. Morì di fronte a un migliaio di uomini della fanteria, ai giornali e alla televisione. Ad accompagnarlo in questa uscita di scena i membri del Tate no Kai, lAssociazione degli Scudi, l’organizzazione paramilitare da lui fondata e finanziata, sugellando insieme il compimento della sua vita e della sua avventura letteraria. Tre mesi prima aveva terminato l’ultimo romanzo del ciclo Il mare della fertilità, sul quale appare, nell’ultima pagina, la data simbolica del 25.11.1970. Il suo testamento.

Yukio Mishima nacque a Tokyo il 14 gennaio 1925. Saggista, drammaturgo, poeta, regista e attore, è considerato in tutto il mondo uno dei più grandi scrittori contemporanei. Con la sua opera vasta e variegata, che spaziò dal romanzo alla versione moderna del teatro tradizionale giapponese kabuki e No, conquistò i massimi riconoscimenti letterari giapponesi e per ben tre volte meritò la candidatura al Nobel. Fu uno dei pochi autori giapponesi a riscuotere un successo immediato all’estero e molti suoi romanzi sono stati tradotti in Italiano, tra i quali Confessioni di una maschera, La voce delle onde, Il padiglione d’oro e la tetralogia Il mare della fertilità. In quelle pagine scritte con la mente rivolta verso la morte, in una visione cupa e straziante, tuttavia nobile e poetica, Mishima seppe raccontare i dilemmi e le angosce della sua generazione, in un Giappone immerso nella confusione del XX secolo, riuscendo a creare un legame tra le tradizioni orientali e quelle occidentali, tra il mondo classico e quello contemporaneo.

Uomo dalla personalità difficile e complessa, orchestrò la propria vita e la morte meticolosamente, come aveva orchestrato le trame elaborate dei suoi scritti. È stato più volte presentato come un fanatico di destra, un fascista, votato al martirio politico; un omosessuale, o forse bisessuale, danneggiato da un’infanzia malsana, soffocato dall’affetto ossessivo di sua nonna paterna, figura importantissima nella sua vita, non solo per la lettura psicologica del suo carattere, ma anche perché lo indirizzò verso la letteratura classica e il teatro No e Kabuki; un uomo stretto nella morsa di un’ossessione homo-erotica con la morte; un narcisista incapace di affrontare lo spettro della vecchiaia e del declino. Egli si autodefiniva apolitico e antipolitico: tra i suoi ideali più profondi il patriottismo e il culto per l’Imperatore, visto come ideale astratto, come incarnazione dello spirito del Giappone tradizionale. Alberto Moravia, che lo incontrò a Tokyo, nella sua villa in stile Liberty assolutamente priva di elementi giapponesi, lo definì un conservatore decadente. Affascinato dal culto del corpo, era diventato un esperto di culturismo e di arti marziali, soprattutto del Kendo.

Fu sicuramente un uomo in bilico tra tradizione e modernità, un autore ambiguo e ambivalente: amava tutto quanto fosse barocco ed europeo, viveva in una casa priva di essenzialità Zen, indossava Levi’s, aveva tratto ispirazione da André Gide, Thomas Mann, Fedor Dostoevskij, parlava correntemente Tedesco e Inglese, leggeva in Francese, eppure era un dichiarato avversario dell’Occidente. Un uomo di lettere che ha voluto essere ricordato come un combattente. Un uomo prigioniero della nostalgia di un passato impossibile e incapace di affrontare il mondo caduco intorno a lui. Un samurai che rifiutava la vecchiaia, la rovina del corpo, da lui vissuto come un tempio, e dell’anima.

Vulnerabile, sensibile e fragile, alla continua ricerca di amore, ma lui stesso incapace di amare. La visione tragica della vita, con il pessimismo maturato, i sogni infranti, la certezza che fosse tutto vano, persino gli affetti, dilaga nella sua opera letteraria e ne diventa il marchio. La dualità della sua anima cessò di esistere il 25 novembre 1970. L’uomo d’acciaio scelse una morte forte, gloriosa, che cancellava le debolezze dell’omosessualità, mettendo la parola fine alla sua storia, alle passioni forse inutili.

(Nadia Loreti, com.unica 25 novembre 2016)