Il tema della globalizzazione continua ad avere un peso dominante nella campagna elettorale per l’elezione del prossimo presidente degli Stati Uniti. D’altra parte è vero che gli accordi commerciali sono in una fase di stallo e la Brexit ha vinto. Il volume degli scambi mondiali è calato, rilevava ieri Bloomberg. Entrambi i candidati alla Casa Bianca hanno posizioni critiche verso la globalizzazione sfrenata. Il caso Apple, dice Fortune, fa apparire la globalizzazione come una grande truffa. E anche tra gli economisti le posizioni critiche sono sempre più diffuse.

Tutto questo ovviamente non deve portare alla conclusione che la globalizzazione abbia le ore contate. Secondo Tyler Cowen, columnist di Bloomberg, in alcuni Paesi sta assumendo nuove forme, diventando nazionale. In Cina e India, che finora non avevano relazioni commerciali tra i distretti all’interno dei propri confini, esiste una nuova integrazione economica. Per Walter Munchau, uno degli editorialisti di punta del Financial Times la situazione di stallo in cui si trova il processo di globalizzazione in Occidente in realtà dipende dall’incapacità delle democrazie di governare gli shock economici che inevitabilmente derivano dalla globalizzazione stessa, come la stagnazione dei salari reali medi per due decenni. “Un altro shock – afferma – è legato alla crisi finanziaria globale, una conseguenza della globalizzazione, e il suo impatto permanente sulla crescita economica a lungo termine”. Forse la più grande delusione della politica attuale è costituita dal fallimento dei governi delle democrazie avanzate nell’affrontare le disuguaglianze crescenti, come sostiene ad esempio l’economista dell’Università di Harvard Dani Rodrik: “Anche questo ha le sue radici in politiche interne – il controllo delle élite finanziarie ed imprenditoriali sul processo di definizione delle politiche ed i discorsi che hanno fatto girare riguardo ai limiti delle politiche redistributive”.

Ma le opinioni al riguardo sono spesso contrastanti: sono in tanti ancora a sostenere in maniera convinta l’economia globalizzata, dalla quale non si vede come si possa uscirne. Il 65% degli americani la vede come qualcosa di positivo (Washington Post). Dall’Università di Yale arriva un manifesto contro le destre che appoggiano l’isolazionismo. E un nuovo studio riportato ieri dal Financial Times sembra smentire la tesi dello stesso Munchau e rivela che la globalizzazione abbia poco o niente a che vedere con la contrazione degli stipendi.

(Sebastiano Catte, com.unica 18 settembre 2016)