Roger Casement è stato il primo europeo che ha avuto una visione molto lucida delle conseguenze del colonialismo sulle culture primitive, tanto in Africa che in Amazzonia. Questo problema non l’aveva solo inteso e documentato, ma aveva dedicato buona parte della sua vita a fare luce su quello che lui considerava una mostruosa ingiustizia. (Mario Vargas Llosa, autore de Il Sogno del Celta).

All’alba del 3 agosto 1916, moriva a 52 anni Roger David Casement, diplomatico britannico coinvolto nella campagna contro lo sfruttamento del Congo, e nazionalista irlandese. Era detenuto nel carcere inglese di Pentonville. Condannato per alto tradimento fu impiccato. John Ellis, il boia che gli mise il cappio al collo scrisse di lui nelle sue memorie, prima di suicidarsi: “di tutte le persone che ho dovuto giustiziare, quella che è morta con maggior coraggio è stata Roger Casement”. Casement fu condannato per aver cercato l’appoggio militare della Germania a una sommossa che doveva portare all’indipendenza dall’Inghilterra , ma che sfociò nella breve Rivolta di Pasqua repressa nel sangue a Dublino. Per primo aveva denunciato il massacro del colonialismo nel Congo belga e lo schiavismo del caucciù. Aveva smascherato la barbarie della raccolta di gomma naturale in Amazzonia, che quasi causò l’estinzione dei nativi del Putumayo. Un pioniere dei diritti umani, che fu in realtà messo a tacere con estrema violenza, perché scomodo. Le autorità britanniche prima di sopprimerlo ne distrussero l’immagine facendo circolare copie dei suoi diari segreti, i Black Diaries, dai quali emergeva un uomo contraddittorio, dalla dubbia personalità, dedito all’omosessualità e a ogni forma di perversione. Prima della sepoltura, il dottor Percy Mander esaminò il cadavere per confermare le pratiche a cui il giustiziato era incline. I resti di Casement vennero sotterrati sotto un tumulo di terra, senza lapide, croce e nome, vicino al Roman Way, il sentiero dal quale entrarono le legioni romane in quella che sarebbe poi diventata l’Inghilterra. Per molto tempo non si parlò più di lui. Le richieste dei familiari di dargli sepoltura cristiana in Irlanda furono respinte per i successivi 49 anni, finché nel 1965 le sue spoglie furono esumate, portate a Dublino e accolte con solenni funerali di Stato, alla presenza del presidente Eamon de Valera, amico di Casement e unico sopravvissuto dell’insurrezione del 1916. I Black Diaries, con i loro contenuti carichi di oscenità, continuano ad essere un caso controverso, poiché si ritiene tuttora che siano stati falsificati dai servizi segreti britannici per poter perseguitare Casement e assicurargli la condanna a morte.

Il Rapporto sul Congo è il documento diplomatico redatto nel 1903 da Roger Casement, quale principale accusatore del colonialismo europeo. Il rapporto reso pubblico nel febbraio del 1904 suscitò un’ondata di indignazione poiché rivelò una verità agghiacciante, lo sterminio delle popolazioni congolesi, costrette con un regime di terrore a consegnare le risorse del loro Paese in cambio di poco più di niente. I mezzi impiegati dai legionari della Force Publique dei dominatori belga erano tra i più feroci: omicidi di massa, deportazione e detenzione di donne e bambini, lasciati spesso morire di fame, mutilazione di mani e piedi, stupri, razzie, crudeli punizioni corporali inflitte per qualsiasi ragione, anche i più futili motivi. Il documento racconta il viaggio durato tre mesi nell’inferno congolese, durante i quali Casement, a costo di faticosi spostamenti e rischi per la propria incolumità, in canoa e attraverso le foreste, volle acquisire le prove inconfutabili della prima rete di crimini contro l’umanità perpetrata nel XX° secolo e documentare l’orrore dello sfruttamento coloniale.

Casement era un diplomatico di valore ed esperto di problemi coloniali, ma soprattutto era dotato di un grande senso di umanità e di pietà. Fu amico di Joseph Conrad che conobbe nel 1890 e che lo descrisse, dopo la sua morte, come un uomo eccessivamente emotivo. Ciò che avvenne in Congo, e documentato dal Rapporto, deve essere considerato a tutti gli effetti il primo genocidio del XX° secolo. Dieci milioni di vite umane in 15 anni è il costo dello sfruttamento calcolato dalla Congo Reform Association, subito dopo la pubblicazione del Rapporto, e non sono cifre esagerate se si pensa che la diminuzione della popolazione attestata da Casement in alcune zone aveva raggiunto l’87%. Purtroppo quel genocidio fu anche il primo ad essere dimenticato. La morte di Casement, lo scioglimento della Congo Reform Association, gli eventi disastrosi della Prima Guerra Mondiale contribuirono a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai massacri in Congo.

Il Rapporto dal Congo mantiene intatta a più di cento anni dalla sua pubblicazione la sua drammatica attualità, anche se gli interpreti sono diversi: la crisi umanitaria e militare in Congo ha causato più di 5 milioni di morti, nella parte orientale del Paese vengono denunciate violazioni dei diritti umani, attacchi contro i civili, violenze sessuali e l’impiego di bambini-soldato. Nella provincia del Nord Kivu, gruppi armati stranieri e locali, incluso l’esercito congolese continuano a perpetrare massacri di civili, spesso per motivi etnici e in totale impunità; gli operatori umanitari stimano che 7,5 milioni di persone necessitano attualmente di assistenza; che il conflitto e le operazioni militari in corso hanno causato lo sfollamento interno di 1,5 milioni di persone e hanno costretto 500 000 persone a fuggire dal paese; tutto questo senza che il Presidente Kabila prenda iniziative per arrestare le atrocità consumate sia dai ribelli che dalle forze armate statali.

(Nadia Loreti/com.unica, 2 agosto 2016)