Settantacinque anni fa moriva Virginia Woolf, scrittrice britannica impegnata nella lotta per la parità dei diritti fra i sessi e animatrice del Bloomsbury Group, gruppo di intellettuali e scrittori che ebbe un ruolo importante nella cultura britannica dei primi anni del XX secolo. Militò insieme al marito nel Fabianesimo, movimento politico e sociale britannico di ispirazione socialdemocratica, nato alla fine del XIX secolo  e che si proponeva come scopo  l’elevazione delle classi lavoratrici, per renderle idonee ad assumere il controllo dei mezzi di produzione.

Era il 28 marzo 1941: Virginia aveva riempito le tasche del suo soprabito con pesanti pietre e si era lasciata annegare nel fiume Ouse, vicino casa, nei pressi di Rodmell, nel Sussex. Aveva lasciato sulla mensola del camino una toccante lettera per suo marito Leonard: « Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi. V.»  

Era una donna alta e sottile, dal naso un po’ lungo e lo sguardo sgomento e ferito, come se avesse proprio in quel momento scoperto qualcosa di sconcertante che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Quando morì aveva 59 anni e aveva voluto uccidere i fantasmi che annebbiavano la sua mente, il poeta visionario che albergava  in lei, la malattia, le angosce, le impossibilità della sua esistenza. Le voci che la tormentavano e che negli ultimi tempi le impedivano di scrivere, di pensare, di dire di tutte le cose della sua vita mescolate insieme. I vuoti mentali, le voci, la confusione: una vita segnata dalla malattia. Oggi si parlerebbe di bipolarismo associato a psicosi, magari si proverebbe anche a curarla. Virginia non conobbe lunghi momenti di felicità: a tredici anni perse sua madre, poi la sorellastra Stella e nel 1904 morì il padre. Iniziarono qui probabilmente i primi crolli nervosi. In una autobiografia, intitolata Momenti di essere e altri racconti, scrive di aver subito abusi sessuali, insieme a sua sorella Vanessa, da parte dei fratellastri George e Gerald. Questo ha sicuramente influito sulla depressione e sugli sbalzi d’umore che hanno caratterizzato la sua personalità e la sua vita e che l’hanno portata infine al suicidio.

Dopo la morte del padre si trasferì con Vanessa a Bloomsbury dove diedero vita a un importante gruppo  che dominerà per più di trent’anni il panorama culturale e letterario inglese. Ebbe relazioni omosessuali con alcune donne, come Vita Sackville-West, Ethel Smyth e Violet Dickinson, che influenzarono profondamente la sua vita e le sue opere letterarie: Orlando, romanzo in cui il rapporto con la donna venne visto anche sul piano sentimentale, fu scritto in riflesso della sua storia d’amore proprio con Vita Sackville-West. Nel 1912 sposò Leonard Woolf, teorico politico e scrisse il suo primo romanzo, La Crociera, che fu pubblicato nel 1915. Nel 1913 ebbe una seconda e violenta crisi depressiva e tentò il suicidio. Per aiutarla a ritrovare l’equilibrio e la fiducia in se stessa, Leonard fondò una piccola tipografia e casa editrice, la Hogarth Press, che pubblicò diversi autori tra i quali James Joyce,  Katherine Mansfield, Thomas Sterns Eliot, Sigmund Freud, Italo Svevo. 

A contribuire all’amplificazione delle sue fobie e dei suoi disturbi fu il procedere della guerra. Nel 1919 pubblicò il racconto Kew Gardens e il romanzo Notte e giorno. Nelle opere successive apparve chiaro e definitivo l’utilizzo dello stile del “flusso di coscienza” (La signora Dalloway e Gita al faro). Virginia fu attivista all’interno dei movimenti femministi per il suffragio delle donne e rifletté più volte, nelle sue opere, sulla condizione femminile. In Una stanza tutta per sé del 1929 trattò il tema della discriminazione del ruolo della donna e le sue riflessioni, spuntate dai colori autunnali del paesaggio in cui era immersa, ruotarono intorno a una domanda: perché nessun Shakespeare era donna? Virginia Woolf era una donna molto fortunata all’epoca, perché l’eredità di una ricca zia le garantiva a vita vitto, alloggio e vestiario. Cinquecento sterline all’anno erano sufficienti per la sua indipendenza economica, perciò non aveva bisogno né di un marito né di un lavoro: poteva tranquillamente dedicarsi alla scrittura. Il titolo di questo breve, e intenso, saggio non è altro che la tesi dell’autrice: Una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé, se vuole scrivere romanzi.

Virginia  Woolf era fortunata, non solo per i soldi di cui disponeva, ma anche perché stava vivendo un tempo migliore per le donne, un tempo di svolta. Lei, dal suo punto di vista privilegiato, si guarda indietro e si pone una domanda: che cosa sarebbe successo se ad avere l’indiscusso talento di Shakespeare fosse stata una sua ipotetica sorella? La risposta è semplice: non sarebbe successo niente, perché a quella sorella non sarebbe stato concesso il privilegio di studiare, perché il suo compito di donna è rammendare le calze e cucinare, all’età giusta le avrebbero trovato un marito,avrebbe vissuto male la sua femminilità, avrebbe odiato gli uomini e represso il suo talento letterario, e magari ne sarebbe morta… Nel Cinquecento non era proprio possibile, né concepibile, che una donna scrivesse: Sarei capace di scommettere che Anonimo, il quale scrisse tante poesie senza firmarle, spesso era una donna.Virginia Woolf racconta come si è evoluto il rapporto tra donne e letteratura nel corso dei secoli, passando per Jane Austen e le sorelle Bronte, ad esempio,e ci spiega qual è il rapporto tra povertà, ricchezza e possibilità di fare letteratura. Nell’estate del 1940 pubblicò l’ultima opera, Tra un atto e l’altro, mentre la Gran Bretagna era in guerra. Intanto le sue crisi depressive si fecero sempre più violente e incalzanti, fino al tragico epilogo del 28 marzo 1941. Alla sua morte, le sue ceneri vennero sparse nel bellissimo giardino  di Monk’s House, a Rodmell, sotto due olmi.

(Nadia Loreti/com.unica, 30 marzo 2016)