[ACCADDE OGGI]

Il 16 ottobre 1943 venne scritta una delle pagine più atroci della storia italiana. A Roma quel giorno, un sabato come oggi, le SS naziste capeggiate dal maggiore Herbert Kappler occuparono il Portico di Ottavia e iniziarono il rastrellamento del Ghetto ebraico con la cattura di di 1059 persone (tra cui 207 bambini) tutte strappate alle loro abitazioni e ai ricordi di una vita. Quella data non era stata scelta a caso: era il giorno del riposo per gli ebrei che celebravano anche la festa del Sukkot e quindi i nazisti li avrebbero trovati tutti in casa.

Di quelle persone solo 227 vennero rilasciate perché provenienti da famiglie ‘miste’, le altre vennero condotte alla stazione Tiburtina e caricate su un convoglio con 18 carri bestiame diretti nei campi di sterminio. Gran parte di loro finì nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Qui solo in 16 sopravvissero, 15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino, morta nel 2000. Nessun bambino si salvò. Oggi nel Tempio Maggiore una lapide commemorativa ricorda quella terribile tragedia.

Quella giornata è stata rievocata in un racconto del grande critico letterario Giacomo Debenedetti, riproposto di recente da “La Nave di Teseo” e considerato “la prima memoria scritta della Shoah italiana”. Un testo che ricostruisce la “banalità del male” di quel che accadde in quel sabato nero e che resta ancora oggi di ispirazione, per non dimenticare quello che è stato. “Le madri o talvolta i padri, portano in braccio i piccini, conducono per mano i più grandicelli – scrive Debenedetti in una delle pagine più intense e toccanti del libro. I ragazzi cercano negli occhi dei genitori una rassicurazione, un conforto che questi non possono più dare. Ed è anche più tremendo di dire non ce n’è ai figli che chiedono il pane”.

Questa pagina buia della nostra storia è stata ricordata tempo fa su Repubblica anche da Alberto Angela, che mette in evidenza le parole di Emanuele di Porto. All’epoca aveva solo 10 anni e riuscì a mettersi in salvo grazie a un atto di solidarietà inaspettato. “Mia madre era uscita, era andata ad avvisare mio padre che facevano la retata” – racconta Di Porto. “Quando è ritornata, da casa mia io stavo in finestra e ho visto un tedesco che se la prendeva. Allora sono sceso e sono andato là, da mia madre. Lei mi faceva cenno di andarmene, ma io non mi volevo muovere. Poi il tedesco se ne è accorto e ha preso pure me. Mi ha portato sul camion e, non so come ha fatto, mia madre m’ha dato una spinta e io me ne sono andato. E so’ arrivato a piazza Monte Savello e so’ montato sul tram, c’era quello che spezzava i biglietti là e gli ho detto guarda, so’ ebreo me stanno a cerca’ i tedeschi. Questo me fa: ‘mettete qua vicino a me’. Poi, a ‘na cert’ora me dà pure un pezzo de pane. Due giorni so’ stato sul tram, e questi dell’Atac m’hanno aiutato. Se vede che se l’erano detti uno coll’altro, insomma, che io stavo là. E giravo sempre co ‘sto tram, era la circolare. Pensavo a mia madre, il pensiero mio stava su mia madre, insomma. È morta lì ai campi di sterminio. Però io volevo anna’ co lei”.

com.unica, 16 ottobre 2022