L’ex amministratore aquilano oggi scrittore: “Ho vissuto appassionate stagioni politiche”

L’AQUILA – Goffredo Palmerini, 71 anni, dopo 30 anni in consiglio comunale ha lasciato la politica e oggi è uno scrittore, operatore culturale, con forti legami con le comunità abruzzesi all’estero e attento osservatore delle vicende aquilane.

Goffredo, lei è nato a Paganica, cosa ricorda della sua infanzia e come si viveva nel paese di Gioacchino Volpe ed Edoardo Scarfoglio?

Sono nato nel 1948. Mio padre Vinicio era tornato un anno e mezzo prima dalla prigionia in Germania, portato là dai tedeschi dall’Albania. Nel campo di prigionia pesava 39 chili, rischiò anche l’esecuzione. Al suo rientro a Paganica aveva conosciuto Graziana, sua figlia nata nel 1943, e riabbracciato sua moglie Lina, mia madre. Rimessosi in forze riprese l’attività di fabbro ferraio, come molti della stirpe Palmerini, arrivata a Paganica a metà Settecento. Aprì la sua bottega prima a Valle d’Ocre, dove ogni mattina si recava in bicicletta, poi nel ’52 a Paganica, l’anno in cui nacque mio fratello Corradino. Ho avuto un’infanzia felice, in una famiglia cementata da valori spirituali ed etici. Una famiglia umile come tante, in una Paganica di contadini e artigiani che viveva le ristrettezze del dopoguerra. In quegli anni si comprava al negozio d’alimentari portando un taccuino con la copertina nera dove Marietta annotava man mano la spesa. Si pagava due volte l’anno, dopo le fiere di Pasqua e Ognissanti. I contadini vendevano qualche animale e i raccolti e andavano a pagare il conto, anche al fabbro. E’ stato così per la mia famiglia, finquando mia sorella non entrò in fabbrica, alla Marconi poi Siemens. Solo allora, nei primi anni ’60, cominciò a girare qualche lira in più mentre l’Italia s’avviava al miracolo economico.

Quali sono stati i suoi studi e poi il percorso lavorativo?

Dopo le elementari a Paganica, frequentai all’Aquila le medie (Mazzini) e le superiori (Itis), diplomandomi nel 1967 chimico industriale. Furono d’aiuto le borse di studio che ebbi per meriti scolastici. Andai subito militare negli alpini per liberarmi dell’obbligo e poter cercare lavoro. Che presto arrivò, vincendo un concorso per Capo Gestione nelle Ferrovie. Mi assunsero a Verona nel 1972, poi andai a Trento. Vi restai un anno. Lavorai poi 3 anni a Roma, nel Servizio Sanitario presso la Direzione Generale FS, chimico nel laboratorio di bromatologia e igiene industriale. Girai tutta Italia in quegli anni, con compiti ispettivi negli impianti ferroviari sull’igiene degli alimenti e degli ambienti di lavoro. Intanto m’ero iscritto a Giurisprudenza alla Sapienza, ma nel 1975 lasciai Roma e gli studi universitari dopo l’elezione al Consiglio Comunale dell’Aquila e il trasferimento nella nostra città. Ho tuttavia sempre nutrito interesse per gli studi giuridici e umanistici, che da allora assiduamente curo. All’Aquila lavoravo in stazione e facevo il consigliere comunale con molto impegno. Ho concluso il percorso lavorativo come dirigente del Polo amministrativo dell’Aquila.

Perdonanza 1983, il sindaco Tullio De Rubeis con Errico Centofanti e Goffredo Palmerini

Lei è stato vicesindaco del Comune dell’Aquila e per quasi 30 anni in consiglio comunale. Come nasce la sua passione per la politica?

Fu precoce, a 20 anni ero già segretario della sezione Dc a Paganica. L’impegno politico era nato dagli stimoli sociali del Concilio Vaticano II e dal pensiero di Maritain e Mounier. Furono mio riferimento figure come Dossetti, La Pira, Moro e altri esponenti della sinistra democristiana. Tutta la mia esperienza è stata ispirata ai valori del cattolicesimo democratico. Con altri della mia generazione abbiamo vissuto all’Aquila un’appassionata stagione politica, anche nelle istituzioni, insieme a Luciano Fabiani e Achille Accili. Al mio primo mandato consiliare nella sindacatura di Ubaldo Lopardi, durante il quale fui capogruppo Dc, ne sono seguiti altri 5, salvo l’interruzione dal 1990 al 1994. Intensi quegli anni e ancor più dal 1980, stretto collaboratore del sindaco Tullio de Rubeis e assessore per l’intero quinquennio. Ricordo con orgoglio la rinascita della Perdonanza, la scelta dell’Aquila per la Scuola Ispettori della Guardia di Finanza, le visite di Giovanni Paolo II e del Presidente Pertini, e altri importanti traguardi. Come pure ricordo della sindacatura di Enzo Lombardi, dopo un avvio travagliato, il proficuo lavoro per la città. Non ero consigliere negli anni difficili delle inchieste giudiziarie. Ma nel 1994, in sostegno di Attilio Cecchini candidato sindaco, tornai in consiglio nel Ppi. L’anno dopo, mutate le condizioni politiche, entrai vicesindaco nella giunta guidata da Antonio Centi. Ho avuto con Centi un forte rapporto di collaborazione. Importanti progetti in quegli anni e numerose le opere avviate. Non sempre però si raccolgono i frutti dell’impegno. Nel 1998 infatti vinse il centrodestra guidato da Biagio Tempesta. Con Tempesta sindaco sono sempre stato capogruppo d’opposizione, fino al 2007, quando decisi di chiudere la mia lunga esperienza a Palazzo Margherita. Sento i quasi 30 anni al servizio della comunità aquilana come il più grande onore. Dai banchi della maggioranza come della minoranza, senza spirito di fazione, ho cercato d’operare solo nell’interesse generale. Il giudizio sta agli aquilani. Credo però d’aver vissuto un’esperienza straordinaria, attento al dialogo costruttivo, nel rispetto degli avversari, nella ricerca del bene comune, in un confronto sempre leale.

Cosa trova di diverso fra la politica dei suoi tempi costruita su contatti umani, manifesti, volantini, comizi e quella di oggi che viaggia per lo più sui social.

Oggi è tutto “liquido”, come direbbe Baumann. Mi preoccupa il fatto che buona parte della classe politica ormai da anni non guardi al futuro, con scelte coraggiose di lunga prospettiva. Si preferiscono misure effimere, per raccogliere consensi immediati. I grandi riferimenti ideali sono smarriti, difetta il senso dello Stato e delle istituzioni, cresce l’imbarbarimento del linguaggio a scapito d’un serio confronto sui problemi del Paese. Nella società della comunicazione virtuale conta più vellicare gli istinti che rispondere alle difficili sfide del futuro. Ai contatti umani d’un tempo si preferiscono i social, importa apparire più che essere. Ma così la distanza tra paese reale e paese legale s’allarga, lo si vede dalle astensioni dal voto. Pur senza generalizzare e sperando il meglio, perché figure politiche di spicco pure ci sono, gira tuttavia tanto piccolo cabotaggio e pochi Statisti. Quelli di cui avremmo disperato bisogno per risalire la china e riportare l’Italia a crescere, ad assicurare un domani per i nostri figli.

Negli ultimi anni lei ha pubblicato molti libri che raccolgono reportage e articoli pubblicati da giornali di tutto il mondo, soprattutto quelli che fanno riferimento alle comunità italiane all’estero che lei ha visitato più volte. Come è percepita l’Italia dai nostri connazionali, cosa chiedono. C’è nostalgia?

Nel 2007, per servire in altro modo la nostra città, scelsi l’impegno giornalistico per comunicare singolarità e bellezze dell’Aquila e dell’Abruzzo. La passione per la scrittura, che avevo già da ragazzo, l’ho finalmente potuta esercitare nelle collaborazioni con le agenzie internazionali e con la stampa italiana all’estero. Diverse decine, in Italia e nel mondo, sono le testate con le quali collaboro. Oltre 50mila le pagine a mia firma uscite finora sull’Aquila, l’Abruzzo, l’Italia. Parlano di fatti, eventi, personaggi e tradizioni della provincia italiana. Molto presente il tema dell’emigrazione, le nostre comunità all’estero e il loro valore. Vado a conoscerle, racconto le loro storie, i successi, ma anche le sofferenze e le discriminazioni subite prima della loro integrazione. I nostri emigrati non sono più quelli partiti con la valigia di cartone descritti negli stereotipi. Hanno sofferto pregiudizi e stigmi nella prima generazione dell’emigrazione. Poi i loro figli si sono man mano integrati nelle società d’accoglienza, si sono fatti apprezzare, godono ora la stima e il prestigio che si sono meritati in ogni campo. Sono nelle università, nelle imprese, nel mondo dell’arte, dell’economia, della ricerca, nelle istituzioni e nei governi, talvolta con ruoli di preminenza. Chiedono di essere conosciuti e riconosciuti, perché in Italia spesso non si ha piena consapevolezza del valore delle nostre comunità all’estero. La storia della nostra emigrazione non è ancora entrata nella grande Storia d’Italia. Sovente la conoscenza del fenomeno migratorio, anche nelle istituzioni, si limita alla patina, con tutti gli equivoci che non aiutano a capire che i nostri connazionali all’estero sono una risorsa, i più motivati ambasciatori dell’italianità nel mondo. Se hanno nostalgia? No. Forse solo la prima generazione di emigrati ne ha sofferto, ma l’integrazione nei Paesi d’accoglienza l’ha ormai fortemente mitigata.

Lei è un attento osservatore della realtà locale oltre che un operatore culturale. A dieci anni dal sisma che idea si è fatta della ricostruzione materiale e sociale dell’Aquila?

Sulla ricostruzione materiale si può dare un giudizio nel complesso positivo, ma a due facce. Soddisfacente per la città, meno per le frazioni. Come alterno è il giudizio sulla ricostruzione privata e quella pubblica, quest’ultima assai lenta. Sulla qualità si sarebbe potuto correggere e migliorare, invece d’appendersi al “com’era e dov’era”. Ha ragioni da vendere monsignor Orlando Antonini.

È infatti mancata un’idea complessiva di ridisegno urbano, anche con l’inserimento di architetture “firmate” fuori dal centro storico. L’unica eccezione, l’Auditorium di Renzo Piano, non è stata una scelta della città ma della Provincia di Trento. Non aggiungo parole sulla “abitazione equivalente”, consentita ovunque e dannosa, molti aquilani hanno lasciato L’Aquila per altre città. Mi auguro infine una rinascita sociale e morale della nostra comunità, che deve ritrovare il senso profondo del vivere insieme. Fraternità sociale, impegno civico, etica delle responsabilità, cultura, amore per la città, dedizione al bene comune: questo occorre per scrivere il futuro dell’Aquila nuova. Non solo più bella di prima, ma anche migliore di prima. A ciascun aquilano è affidata una parte di questo impegno.

*pubblicata dal quotidiano il Centro il 16 febbraio 2019, a cura di Giustino Parisse