[ACCADDE OGGI]

Questore o no? Giusto o no? Santo o no? Difficile rispondere a queste domande su Giovanni Palatucci che il 15 novembre 1937 arriva a Fiume da Roma con il grado di vice commissario di pubblica sicurezza e poi, forse, commissario e questore reggente. Era nato a Montella nell’avellinese nel 1909 ed era nipote a Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna. A 23 anni, laureatosi in giurisprudenza a Torino, si iscrisse al Partito Nazionale Fascista e nel 1936 entrò come volontario nella pubblica sicurezza.

Tutti quelli che lo considerano come il “Giorgio Perlasca campano” (ma a Perlasca, vuoi anche perché lui non amava parlare di “quelle cose”, non furono mai tributati in Patria gli onori riconosciuti a Palatucci) dicono che Giovanni Palatucci nella sua posizione presso la Questura di Fiume riuscì a salvare quasi 5000 ebrei destinati ai campi di concentramento tedeschi evitando la loro cattura e rifugiandoli in parte nel vescovado di Abbazia e per altra parte nel campo di internamento italiano di Campagna sotto la protezione dello zio vescovo. Braccato dalla Gestapo per questa sua attività in favore degli ebrei, utilizzò un visto di ingresso in Svizzera che l’amico console svizzero di Fiume gli aveva concesso per fare espatriare una signora ebrea.

Fu arrestato il   13 settembre 1944 dai tedeschi e inviato nel campo di Dachau dove morì a soli 36 anni. Il 17 aprile 1955, gli venne concessa la Medaglia d’Oro alla memoria dall’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia con la seguente motivazione: “Commissario all’Ufficio stranieri della Questura di Fiume, tanto operò in favore degli ebrei e di altri perseguitati, che venne arrestato dai nazisti nel settembre 1944 e deportato in Germania. Le sevizie e le privazioni del campo di sterminio, a Dachau, ne troncarono, alla vigilia della liberazione, la mirabili esistenza. Se al suo nome nello Stato d’Israele sono state dedicate una via ed una foresta, gli ebrei d’Italia vogliono anch’essi onorarne il ricordo”. Il 12 settembre 1990 lo Yad Vashem lo riconosce Giusto tra le nazioni. Il 15 maggio 1995 la Repubblica italiana gli ha conferito la Medaglia d’oro al merito civile con la seguente motivazione: “Funzionario di Polizia, reggente la Questura di Fiume, si prodigava in aiuto di migliaia di ebrei e di cittadini perseguitati, riuscendo ad impedirne l’arresto e la deportazione. Fedele all’impegno assunto e pur consapevole dei gravissimi rischi personali continuava, malgrado l’occupazione tedesca e le incalzanti incursioni dei partigiani slavi, la propria opera di dirigente, di patriota e di cristiano, fino all’arresto da parte della Gestapo e alla sua deportazione in un campo di sterminio, dove sacrificava la giovane vita.”. Il 21 marzo 2000 il Vicariato di Roma ha emesso un Editto per l’apertura del processo di beatificazione di Giovanni Palatucci, avvenuta formalmente il 9 ottobre 2002. Nel maggio del 2013 il Centro Primo Levi di New York ha pubblicato un documento nel quale, facendo riferimento ad una approfondita ricerca sulla base di quasi 700 incartamenti provenienti da diversi archivi e di decine di testimonianze di persone coinvolte nelle drammatiche vicende di fine guerra a nella città dalmata, arriva alla conclusione che “Giovanni Palatucci andrebbe descritto come uno zelante esecutore della deportazione di almeno 412 dei circa 500 ebrei presenti a Fiume, nel suo incarico di responsabile dell’applicazione delle leggi razziali fasciste. La sua deportazione e morte a Dachau sarebbe stata dovuta non al suo aiuto agli ebrei, ma all’aver mantenuto contatti col servizio informativo nemico, per aver passato agli inglesi i piani per l’indipendenza di Fiume”.

La storia di Palatucci salvatore degli ebrei di Fiume, aggiunge la ricerca del Centro Primo Levi di New York “sarebbe un mito fomentato dallo zio, il vescovo Giuseppe Maria Palatucci, che nel 1952 si sarebbe servito della storia inventata per assicurare una pensione di guerra al fratello e alla cognata, genitori di Palatucci”. A seguito di questa ricerca la figura di Palatucci è stata rimossa da una esposizione al Museo dell’Olocausto di Washington e lo Yad Vashem e il Vaticano hanno iniziato a esaminare la nuova documentazione emersa. La storica Anna Foa in un articolo apparso su “L’Osservatore Romano” rigetta le conclusioni del Centro Primo Levi di New York affermando che sulla base di numerose testimonianze degli ebrei che furono salvati il fatto che ci sia la mancanza di documentazione scritta è da ascrivere proprio al fatto che le operazioni attuate da Palatucci fossero necessariamente segrete.

Insomma, Giovanni Palatucci, “reggente la Questura di Fiume” o solo responsabile dell’ufficio stranieri di quella questura, “Giusto tra le nazioni” o spia per gli inglesi, “Sevo di Dio” o mito inventato per la pensione di guerra ai familiari? Sappiamo solo che il dramma di quella guerra colpì inesorabilmente tutti e anche la giovane vita di Giovanni Palatucci arrivato a Fiume il 15 novembre 1937.

(Franco Seccia, 15 novembre 2019)