Il commento di Christian Rocca (La Stampa) sulla strategia del Cremlino nei confronti delle democrazie liberali.

Un formidabile libro americano, «The Road to Unfreedom», scritto dallo storico di Yale Timothy Snyder, esplora la mente di Putin e spiega la sofisticata strategia illiberale del leader russo nei confronti dell’Occidente. La tesi del saggio è questa: quando Putin ha capito che, per mancanza di risorse e incapacità di innovare, la Russia non avrebbe potuto tenere il ritmo dell’Occidente, si è convinto di una cosa semplice e cioè che se la Russia non può diventare come l’Occidente, allora bisogna che l’Occidente si trasformi in una specie di Russia. Intorno a questo principio di relativismo strategico, Putin ha scatenato la sua offensiva globale contro la democrazia rappresentativa, contro i diritti civili, contro la società aperta, contro l’Unione europea, contro gli Stati Uniti, contro la Nato. E, così, la guerra in Georgia, l’invasione dell’Ucraina, l’annessione della Crimea, i cyber attack agli Stati baltici, i finanziamenti ai leader estremisti, i patti politici con i partiti populisti, le campagne omofobiche, il sostegno al despota Bashar al Assad in Siria, la fabbricazione di fake news, comprese quelle di Stato diffuse in inglese dalla tv RT, la scuderia di hacker informatici, la protezione di Wikileaks, i tentativi di manipolazione dei processi elettorali in Gran Bretagna, in Germania, in Francia, in Italia e ovviamente in America, più qualche avvelenamento a Londra, e finanche il terremoto che sta sconvolgendo Facebook, sono tutti elementi della stessa strategia di diffusione del caos e di russizzazione dell’Occidente che sfrutta le debolezze della società aperta, abusa delle innovazioni tecnologiche americane e approfitta della mollezza del mondo libero. 

La cosa drammatica è che l’Occidente comincia soltanto adesso a rendersene conto, quando la strategia putiniana ha già conseguito enormi successi, indebolendo le democrazie occidentali ora attraversate da ondate populiste e spinte separatiste sostenute dal Cremlino. Vedremo come andrà a finire l’inchiesta americana volta a stabilire se Trump sia un agente di fatto della Russia (nel frattempo leggetevi «Russian Roulette» di Michael Isikoff e David Corn, è meglio della serie tv The Americans) e se i Paesi europei avranno la forza di contrastare l’offensiva populista dopo le prime, timide, reazioni all’invasione dell’Ucraina e all’ingerenza nelle elezioni.

La parte più interessante del saggio di Snyder è quella che analizza la traiettoria del pensiero strategico di Putin. Il leader russo, spiega Snyder, si ispira alle idee del filosofo fascista Ivan Ilyin che negli ultimi anni è stato il protagonista di una spettacolare riabilitazione intellettuale. Negli Anni Venti e Trenta, Ilyin era noto nei circoli europei per le simpatie nazifasciste e per la sua avversione all’Unione Sovietica (parte, quest’ultima, ignorata dal neorevisionismo putiniano), ma soprattutto perché teorizzava il ruolo della Russia come l’unica nazione che avrebbe potuto salvare il Cristianesimo dall’immoralità occidentale. L’altro intellettuale che ispira Putin è il filosofo Lev Gumilev, il figlio della poetessa Anna Achmatova, morto nel 1992, teorico della visione eurasiatica della storia e sostenitore dell’idea che la Russia non deve cedere alle tendenze filo slave, e tantomeno filo occidentali, ma piuttosto esaltare la connessione storica e culturale con i popoli mongoli che rifondarono Mosca in un ambiente protetto dall’immoralità occidentale. Il destino della Russia moderna, scrive Snyder, è quello di trasformare l’Europa nella Mongolia, perché è la cultura mongola ad aver temprato il carattere russo. La versione più aggiornata di questa tesi è quella che, alla condanna della corruzione occidentale, aggiunge la malvagità degli ebrei, secondo l’interpretazione di un poco più che cinquantenne intellettuale fascista, Alexander Dugin, molto ascoltato nella Russia di oggi. E, quindi, le fonti intellettuali dell’attacco di Putin all’Occidente sono il totalitarismo cristiano di Ilyn, l’eurasiatismo di Gumilev e il neonazismo di Dugin.

Che fare, dunque? Sappiamo che l’interesse di Putin è quello di preservare il clan di cleptocrati che lo affianca alla guida della Russia, ma anche che esporta caos in Europa e in America perché teme la forza attrattiva che i valori occidentali possono avere per il suo popolo. Da qui bisogna ripartire.

(Christian Rocca, La Stampa 6 maggio 2018)