Era il pomeriggio del 17 aprile 1967 e dinanzi alla bara che custodiva il corpo di Totò posata sul pavimento della chiesa di Sant’Eligio in Piazza Mercato a Napoli, con voce di pianto continuamente rotta dal singhiozzo, Nino Taranto profferì queste parole: “Amico mio questo non è un monologo, ma un dialogo perché sono certo che mi senti e mi rispondi. La tua voce è nel mio cuore, nel cuore di questa Napoli che è venuta a salutarti, a dirti grazie perché’ l’hai onorata. Perché non l’hai dimenticata mai, perché sei riuscito dal palcoscenico della tua vita a scrollarle di dosso quella cappa di malinconia che l’avvolge. Tu amico hai fatto sorridere la tua città, sei stato grande, le hai dato la gioia, la felicità, l’allegria di un’ora, di un giorno, tutte cose di cui Napoli ha tanto bisogno. I tuoi napoletani, il tuo pubblico è qui. Ha voluto che il suo Totò facesse a Napoli l’ultimo “esaurito” della sua carriera e tu, tu maestro del buonumore, questa volta ci stai facendo piangere tutti. Addio Totò, addio amico mio. Napoli, questa tua Napoli affranta dal dolore vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi figli migliori e non ti scorderà mai. Addio amico mio, addio Totò.“

Fuori dalla chiesa oltre duecentomila napoletani assistettero al funerale del principe della risata morto due giorni prima nella sua casa romana dei Parioli all’età di 69anni. Poco prima di morire si era dispiaciuto per non essere riuscito a dare il massimo nella sua carriera artistica dicendo che nessuno lo avrebbe ricordato. Si sbagliò e ha ragione Umberto Eco quando si interroga sulle lacune del mondo globalizzato e afferma “esistono ancora fratture abissali e incolmabili tra cultura e cultura. Come faranno mai a intendersi due popoli come i cinesi e gli italiani di cui uno ignora Totò?” E si sbagliò anche sulla previsione del ricordo che della sua arte e della sua umanità ne avrebbero avuto gli italiani.

Totò è forse l’unico attore che ha ricevuto alla sua morte ben tre funerali, il primo a Roma con una partecipazione commossa di oltre ventimila persone tra cui tantissimi esponenti del mondo del cinema e della cultura compresi quelli che lo avevano osteggiato ritenendolo un guitto o poco più, il secondo di cui abbiamo detto nella sua Napoli per l’occasione chiusa per lutto con l’intero popolo ad inseguirlo verso l’ultima dimora, il terzo sempre a Napoli, una specie di funerale bis con la bara naturalmente vuota ma con uguale partecipazione di folla nella chiesa di San Vincenzo nel Rione Sanità dove il principe era nato principe e signore.

Sofia Loren nella sua autobiografia Sofia Loren. Ieri, oggi, domani. La mia vita racconta con queste parole il suo incontro con Totò “…ero davvero poco più di una bambina, senza lavoro e senza una lira, ero andata alla Scalera, dove il Principe stava lavorando. Mi ero introdotta in sala piano piano e uno della produzione, forse commosso dalla mia giovinezza, mi aveva fatto sedere. Totò, adocchiandomi, aveva chiesto ai suoi “Chi è quella piccerella?”. Titubante, mi ero avvicinata per presentarmi Scicolone Sofia, molto onorata… Lui era stato dolce, mi aveva sorriso e mi aveva offerto un po’ del suo tempo prezioso. “Che ci fa qui una guaglioncella come te? Da dove vieni?” Sono di Pozzuoli, sono qui per fare il cinema… “Ah, il cinema” aveva sospirato, dedicandomi una delle sue celebri facce. Per un istante la sua ironica, irresistibile malinconia fu tutta per me. La bevvi, come un bicchiere d’acqua fresca, e mi sentii più forte. Se Totò mi stava regalando un pizzico della sua attenzione, significava che tutto era possibile. Che tutto il meglio era già qui. Ma il Principe non si era limitato alle parole. Alla fine, intuendo ciò che avevo tentato di nascondere, mi aveva messo in mano centomila lire. Credo mi avesse letto negli occhi la fame: di cibo, di lavoro, o forse più semplicemente di cinema. Io e mammina ci mangiammo a lungo, come se avessimo vinto al lotto”.

(Franco Seccia/com.unica, 17 aprile 2020)