“Sogno che i miei quattro bambini vivano un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della pelle ma per chi sono nel cuore”

Il 4 aprile 1968 veniva assassinato, a Memphis, Martin Luther King, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani e diventato punto di riferimento e simbolo, non solo negli Stati Uniti, della lotta nonviolenta contro il razzismo.

Per riscoprire la sua figura l’opera fondamentale a cui attingere è senz’altro I have a dream. L’autobiografia del profeta dell’uguaglianza, in cui Martin Luther King rivive attraverso i suoi più importanti scritti pubblici e privati. Un’opera che, attraverso preziosi documenti, ci fa riscoprire una delle pagine più drammatiche e ricche di speranza della storia dei ventesimo secolo. Attraverso episodi commoventi ed esaltanti si delineano l’infanzia e la famiglia d’origine, si narrano l’educazione ricevuta e le discriminazioni subite, la vocazione religiosa, il rapporto con la moglie Coretta e con i quattro figli. E soprattutto si racconta il suo crescente impegno politico, che lo portò in carcere e lo condusse a essere considerato il principale punto di riferimento nella battaglia per l’emancipazione dei neri d’America.

Martin Luther King nasce il 15 Gennaio 1929 ad Atlanta in Georgia dove il razzismo è estremamente radicato. Suo padre era un predicatore e sua madre una maestra. Studia teologia e successivamente si trasferisce a Boston, dove nel 1953 si sposa con Coretta Scott. Diventa pastore della Chiesa Battista a Montgomery in Alabama. Nel periodo ’55-’60, invece, è l’ispiratore e l’ organizzatore delle iniziative per il diritto di voto ai neri e per la parità nei diritti civili e sociali, oltre che per l’abolizione, su un piano più generale, delle forme legali di discriminazione ancora attive negli Stati Uniti.

Nel 1957 fonda la “Southern Christian Leadership Conference” (Sclc), un movimento che si batte per i diritti di tutte le minoranze e che si fonda su ferrei precetti legati alla nonviolenza di stampo gandhiano, suggerendo la nozione di resistenza passiva. Il culmine del movimento si ha il 28 agosto 1963 durante la marcia su Washington quando King pronunci a il suo discorso più famoso, “I have a dream….”. Nel 1964 riceve ad Oslo il premio Nobel per la Pace. Durante gli anni della lotta, King viene più volte arrestato e molte manifestazioni da lui organizzate finiscono con violenze e arresti di massa; egli continua a predicare la non violenza pur subendo minacce e attentati. Nel 1966 si trasferisce a Chicago e modifica parte della sua impostazione politica: si dichiara contrario alla guerra del Vietnam e si astiene dal condannare le violenze delle organizzazioni estremiste, denunciando le condizioni di miseria e degrado dei ghetti delle metropoli, entrando così direttamente in conflitto con la Casa Bianca.

Nel mese di aprile dell’anno 1968 Luther King si recò a Memphis per partecipare ad una marcia a favore degli spazzini della città (bianchi e neri), che erano in sciopero. Mentre, sulla veranda dell’albergo, s’intratteneva a parlare con i suoi collaboratori, dalla casa di fronte vennero sparati alcuni colpi di fucile: King cadde riverso sulla ringhiera, pochi minuti dopo era morto. Approfittando dei momenti di panico che seguirono, l’assassino si allontanò indisturbato. Erano le ore diciannove del 4 aprile. Il killer fu arrestato a Londra circa due mesi più tardi, si chiamava James Earl Ray, ma rivelò che non era stato lui l’uccisore di King; anzi, sosteneva di sapere chi fosse il vero colpevole. Nome che non poté mai fare perché venne accoltellato la notte seguente nella cella in cui era rinchiuso.

com.unica, 4 aprile 2020