Dopo giorni di silenzio, il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg ha ammesso gli errori commessi dalla società nel sottovalutare il rischio di esposizione dei dati degli utenti. “Sono io il responsabile di tutto ciò che accade sulla nostra piattaforma”, ha scritto sul suo profilo. “C’è stata una violazione del rapporto di fiducia tra Facebook e le persone che condividono i loro dati con noi e si aspettano che noi li proteggiamo. E ora dobbiamo recuperare questa fiducia” (Nyt). In un’intervista alla Cnn, poi, Zuckerberg ha aggiunto: “Vogliono usarci per influenzare ancora il voto. Dovremo stare molto attenti”.

Nel suo lungo post Zuckerberg ha annunciato le tre mosse principali da attuare: revisione completa delle app considerate sospette; un’ulteriore restrizione dell’accesso ai dati degli utenti per gli sviluppatori esterni; maggiore visibilità per gli utenti del pannello di controllo dei parametri di privacy dei dati. Il vero piano di contrasto che Facebook può mettere in atto per proteggere i dati sensibili non può che essere infatti di tipo tecnico. A partire da una complessiva revisione della piattaforma: un obiettivo non semplice da raggiungere perché coinvolge tutte le aziende di servizi che collaborano con lo stesso social network per lo sviluppo di applicazioni (sono diverse migliaia, come ammette lo stesso Zuckerberg). In secondo luogo tutte le persone i cui dati sono stati utilizzati in modo fraudolento dovranno essere avvertiti di quanto accaduto e di quanto potrebbe accadere in futuro con altre applicazioni. Quindi cambiare le regole del gioco legate al “Facebook login”, che non dovrebbero permettere ad applicazioni esterne l’accesso ai dati dei singoli utenti; infine gli utilizzatori dovranno essere informati in modo più dettagliato sulle conseguenze legate all’utilizzo delle stesse app e invogliati a segnalare le eventuali vulnerabilità.

Tutti ottimi propositi quelli di Zuckerberg ma che difficilmente potranno servire a risolvere alla radice il problema. Se poi guardiamo al passato, possiamo constatare che è successo tante altre volte che il Ceo di Facebook si sia scusato per altri casi di violazione della privacy e per il proliferare delle fake news senza che poi ci siano state azioni significative per porre rimedio agli errori. Il caso riguarda tutti noi, sottolinea oggi il Corriere.  Facebook  ha comunque un’enorme capacità di raccolta di dati (forniti dagli iscritti) e di segmentazione dell’audience e questo fatto presenta aspetti certamente inquietanti, come evidenziato dallo psicologo e data scientist, Michal Kosinski: “Il nostro cellulare è un enorme questionario psicologico che, consciamente o no, compiliamo di continuo”.  La ricercatrice Zeynep Tufecki rileva come “il modello di business di aziende come Facebook si fondi, di fatto, sulla possibilità di una profilazione priva di qualunque cosa si possa ragionevolmente definire consenso” e quindi anche in futuro probabilmente destinata a essere usata in modo opaco.

C’è poi l’aspetto legato all’uso distorto dei social sui mercati finanziari, come rilevato oggi dal Sole 24Ore. Il giornale cita il caso dei gestori di Nordea, il grande gruppo finanziario scandinavo (11 milioni di clienti, 40 miliardi di euro di capitalizzazione, 330 miliardi di euro di asset in gestione) che sono stati i primi a muoversi contro il social network di Mark Zuckerberg: adottando una blacklist, una sorta di «quarantena» che durerà tre mesi per le azioni Facebook al momento detenute dal Nordea Global Stars Fund (che ammontano a 1,98% delle masse in gestione al fondo sostenibile). Alla corte distrettuale di San José in California è stata intanto intentata la prima class action contro Facebook e Cambridge Analytica (Reuters). La Commissione europea ha presentato la sua proposta di tassazione dei profitti realizzati dalle aziende tech, che prevede un prelievo del 3% sul fatturato. Il piano porterebbe nelle casse europee circa 5 miliardi di euro l’anno. Le grandi società del settore hanno accusato la proposta di essere “fallace e populista” (Bbc). In un’intervista a Repubblica, il commissario Pierre Moscovici dice: “Sui Big Data abusi inaccettabili. Adesso una tassa ai giganti del Web”.

(com.unica, 22 marzo 2018)