Intervista (per La Stampa) alla ricercatrice israeliana Shahar Kvatinsky, docente di ingegneria elettronica all’Istituto Technion di Haifa.

In un kibbutz a 30 chilometri da Haifa, sta maturando la prima rivoluzione dell’hardware. La bandierina sulla cronologia della storia dell’informatica ricorderà il momento in cui è cambiato il modo di costruire i computer. Shahar Kvatinsky, 37 anni, è assistente di ingegneria elettronica all’Istituto Technion, dove insegna una volta alla settimana. Per il resto lavora da casa, una villetta con un giardino pieno di biciclette. Oggi e domani sarà in Italia all’Università della Tuscia a Viterbo e a Tor Vergata a Roma e per una conferenza sull’Intelligenza Artificiale, organizzata dall’Italian Technion Society.

In che cosa consiste la rivoluzione dell’hardware?
«Finora lo sviluppo dei computer si è basato sulla legge di Moore: Gordon Moore, co-fondatore di Intel, già 50 anni fa si accorse che ogni due anni la dimensione del transistor si sarebbe dimezzata. Da un’altra prospettiva, quella delle aziende, ogni due anni si sarebbe potuto raddoppiare il numero dei transistor in una stessa area e costruire di più allo stesso prezzo. Questo è un esempio di come l’industria, oggi, usi la tecnologia: per potenziare computer con le stesse funzioni di sempre. A me, invece, interessa creare hardware capaci di impieghi diversi».

Quali tipi di impieghi?
«Hardware più appropriati per l’Intelligenza Artificiale. Senza entrare nella questione filosofica, i computer che abbiamo usato per 70 anni hanno una sorta di intelligenza, ma teorica: quando parliamo di Intelligenza Artificiale, intendiamo i compiti che tradizionalmente i computer non erano in grado di svolgere, come il riconoscimento delle immagini. Pensiamo a Facebook: pochi anni fa poteva distinguere la presenza di un volto in una foto, oggi suggerisce la persona a cui potrebbe appartenere. Il risultato è frutto di anni di lavoro su algoritmi e software, ma per fare calcoli sempre più complicati l’unica soluzione, oggi, è aggiungere computer su computer. Va da sé che sviluppare l’Intelligenza Artificiale con hardware convenzionali è costoso sia in termini economici sia di energia. Per limitare i danni Facebook e Google hanno costruito enormi infrastrutture: centrali elettriche e impianti di raffreddamento, in Scandinavia e vicino al Polo Nord, così da contenere i milioni di computer di cui hanno bisogno. Oggi circa il 2% della corrente elettrica negli Usa è utilizzata per i server e il trend è in crescita».

È quindi giunto il momento di una svolta?
«Il primo computer programmabile è stato costruito negli Anni 40 e, se oggi i computer sono più veloci, nella struttura di base sono come 70 anni fa: un processore elabora e una memoria raccoglie i dati».

Come dovrebbero cambiare?
«Nei computer convenzionali viene scritto un programma che la macchina esegue, passo dopo passo. Con l’Intelligenza Artificiale, invece, il computer dovrebbe comportarsi in modo più simile a noi: il cervello svolge molte operazioni in parallelo e gli algoritmi si basano sul parallelismo massivo».

Quanto siamo in grado di replicare il nostro cervello?
«Il problema è che non sappiamo come funzioni il cervello! Sennò la cosa più semplice sarebbe costruire una macchina fatta nello stesso modo. Per ora ci possiamo solo ispirare».

Quindi qual è ora la differenza?
«Quando parliamo di “machine learning” ci sono due passaggi: la formazione e l’inferenza. Se per la seconda fase ci sono nuovi hardware come il “Tpu”, un circuito integrato sviluppato da Google, ora tutti lavorano sulla prima fase, il training. Io cerco di costruire una macchina che svolga entrambe le funzioni in parallelo, come nel cervello».

Chi sono i partner in questa rivoluzione?
«Al Technion collaboriamo con gruppi diversi su diversi temi. Abbiamo come partner alcune aziende e lavoriamo con chi scrive gli algoritmi. Siamo poi in contatto con team di neuroscienziati e in Italia guardiamo con interesse al Politecnico di Milano e all’Università di Bologna».

Che impatto avrà questa rivoluzione sulla vita di suo figlio, che è appena nato?
«Mi chiedo se avrà mai bisogno di una patente: le auto autonome saranno realtà appena i nuovi hardware potranno supportare l’Intelligenza Artificiale in modo più appropriato. Guidare sarà un hobby, un divertimento o uno sport».

Fabiana Magrì, La Stampa 21 marzo 2018