Si è trattato di un vero e proprio massacro: sarebbero 250 le vittime dei bombardamenti compiuti dal regime siriano nella regione della Ghouta orientale, enclave ribelle nei pressi di Damasco e poco a sud rispetto al confine con la Turchia, nel tentativo di riprendere il controllo dell’area. È la strage di civili più grave dal 2015 (Al Jazeera). L’ingresso delle truppe governative siriane, sostenute dalla Russia, nella città di Afrin nell’enclave curda, ha scatenato la reazione della Turchia, che punta a colpire le milizie curde del Ypg, che Ankara considera come terroristi. L’esercito di Erdogan ha bombardato le aree di transito del convoglio di filo-siriane dirette verso la città. Erdogan fa capire da parte sua di essere pronto a schierare i carri armati e iniziare l’attacco finale dell’enclave curda e promette che l’offensiva delle sue truppe non si fermerà se non dopo aver distrutto la minaccia “terrorista” (Repubblica). 

L’intervento militare di Ankara sta sottoponendo a una dura prova i rapporti già sfibrati non solo con gli Stati Uniti ma anche con la Russia, alleato chiave di Damasco.  Dopo sette anni di guerra, il conflitto siriano prende sempre più l’aspetto di una guerra regionale (Bbc). Si pensa che Assad abbia deciso di liquidare la spina nel fianco di Ghouta facendo seguire ai bombardamenti un attacco di terra – scrive il Corriere. L’Onu protesta, il mediatore Staffan de Mistura dice che siamo alla vigilia di una «seconda Aleppo». La guerra siriana, lungi dal concludersi con la vittoria sull’Isis, si è moltiplicata per sei. In Siria c’è la guerra di Bashar Assad, quella che ieri si è vista a Ghouta Est. Il presidente salvato da Putin vuole finirla con i ribelli, vuole evitare una spartizione del Paese, e soprattutto vuole rimanere al potere.

Alla fine si ritiene che sarà decisivo l’intervento di Mosca su quello che accadrà a Afrin e Manbij. Vladimir Putin è un alleato di ferro di Assad, ma ha allo stesso tempo rinsaldato l’amicizia con Erdogan: sarà quindi lui a mediare, per evitare uno scontro diretto (Repubblica). Un accordo fra turchi e siriani, con la supervisione russa, potrebbe vedere sacrificati, ancora una volta, i sogni di autonomia dei curdi. Ma la presenza dei marines nel Rojava, a meno di sorprese dall’amministrazione Trump, mantiene la partita ancora aperta.

(com.unica, 21 febbraio 2018)