“La ragazza con la Leica” di Helena Janeczek (Guanda) è stato tra i finalisti del Premio FiuggiStoria 2017.

Un rimpianto e un mistero. Una donna, affascinante, vitale e soprattutto sfacciatamente libera, in un’epoca in cui la libertà era fatta di grandi ideali, di sogni, di pericolo. Un racconto corale, che esalta la già non comune vicenda di una fotografa, Gerda Taro, che per molto tempo è stata nota solo come compagna del ben più famoso Robert Capa. Questo e molto altro è La ragazza con la Leica, terzo romanzo di Helena Janeczek, autrice nota per la sua capacità di raccontare tempi oscuri scavando nelle storie dei singoli. Recentemente pubblicato da Guanda, il libro è cresciuto lentamente, con la stessa forza indomita di fiume sotterraneo che caratterizza la sua autrice. Voce pacata, eloquio lento che si permette pause e ripensamenti, parole che si allineano e si susseguono in maniera ipnotica, Helena è inarrestabile, determinata e aperta, decisa e generosa nel condividere dubbi, domande, e storie: “Ero andata a vedere una mostra, una retrospettiva del suo lavoro. che accompagnava una esposizione più grande dedicata a Capa, una decina di anni fa. Mi era rimasta la sensazione che mi sarebbe piaciuto trasformare la sua storia in un racconto, che doveva essere parte di un trittico, composto da storie di donne forti”. Come già successo altre volte l’autrice – nata a Monaco di Baviera da una famiglia ebreo-polacca, in Italia da oltre trent’anni – ha iniziato ad approfondire, studiare, pensare. “Sto iniziando a convincermi che la narrazione lineare che meglio si adatta alla misura del racconto forse non è la mia cifra, anche Le rondini di Montecassino, in cui ho cercato di scavare nel portato della Seconda Guerra Mondiale attraverso le storie dei reduci e dei loro discendenti sarebbe dovuto essere un racconto”.

Con questo libro, spiega, non voleva raccontare la storia di Gerda Taro “in presa diretta”, né farne una biografia romanzata di tipo tradizionale, l’interesse era tutto per la sua persona, per il suo essere capace di attrarre a sé più di uno, in piena libertà. Era un’idea, il sogno di una relazione sentimentale, di un modo di vivere che si inseriva in un periodo di grandi aspettative, di apertura, di voglia di sperimentare nuovi ideali. “Era travolgente, affascinante, una donna forse molto poco sentimentale in realtà. La sua relazione con Robert Capa – un mito che aveva in un certo senso contribuito a creare, anche trasformandone il nome, da Endre Erno Friedmann – era sicuramente importante, ma non possiamo sapere cosa sarebbe stato se lei fosse vissuta più a lungo”. Nonostante le più di trecento pagine si leggano come un romanzo che appassiona, sono pochissimi i dettagli che vengono dalla sua fantasia, nulla è inventato tranne qualche espediente narrativo che le ha permesso di dare voce ai tre personaggi che raccontano la storia di Gerda Taro, nata Pohorylle. “Ma facendo ricerche, scavando documenti dagli archivi, andando a leggere documentazione spersa in mille diversi luoghi, ho trovato storie incredibili, coincidenze che davvero sembrano inventate. Eppure sono vere, documentate. Ci sono storie molto più incredibili di alcune situazioni che ho usato per permettere alla storia di scorrere senza salti”. La scelta di usare pochissime immagini per raccontare una grande fotografa, che ha vissuto una relazione intensissima con un altro grande fotografo può sembrare strana, sicuramente ha sorpreso più di un lettore, ma è perfettamente logica: “La scelta di scrivere un libro che si avvicina più al romanzo che alla biografia o anche alla biografia romanzata, che si appoggia su un continuo stream of consciousness, pur se di tre narratori differenti, non poteva reggere l’utilizzo del documento. Sarebbe risultato posticcio, appiccicato tra le pagine. Leggendo con attenzione si coglie invece come ho fatto un uso costante delle immagini, che sono però raccontate, che si sono trasformate in parole, in narrazione”.

Le immagini, poi, si trovano facilmente ormai, e lo stesso sito di Helena Janeczeck ne riporta molte, nell’area dedicata al suo ultimo libro, quasi a formare un’appendice digitale che può andare ad aggiungersi, per chi ne sentisse il bisogno, a una storia cui bastano le parole per affascinare. Popolata di personaggi forti, di carattere, che vivevano nell’idea che l’autodeterminazione era possibile, convinti di essere liberi sino all’ultimo anche rispetto alla propria identità ebraica, in una maniera che oggi, dopo la Shoah, non è forse più possibile. Si vedevano liberi di scegliersi il posto che loro stessi decidevano di occupare, con passione: potevano essere fervidi socialisti, fervidi tedeschi, potevano essere tutto quello che volevano, in una gamma di opzioni forse oggi impensabile. E per Helena Janeczeck la pur incredibile e interessantissima storia di una ragazza ebrea poco più che ventenne capace di decidere della propria vita e del proprio destino in un’epoca in cui le nuvole andavano addensandosi sull’Europa al punto di morire per i propri ideali è quasi solo una scusa.

La ragazza con la Leica in effetti non è solo un romanzo, non è solo biografia, è una difesa appassionata di valori e ideali che oggi, paradossalmente, sembrano essere più lontani di allora.

Ada Treves, Pagine Ebraiche, gennaio 2018