L’Opera ambientata in un circo, metafora della vita. L’intervista e la recensione. 

La vita è fatta di equilibri, un continuo movimento di gesti semplici e complici eppure decisivi, impregnati di una perenne precarietà seppur rivestita di una concezione dilatata del tempo quasi a renderla eterna. Avrà pensato forse a un’immagine simile il regista tedesco Henning Brockhaus nell’allestire la “Carmen” all’Opéra Royal de Wallonie di Liège.

Ieri sera, alla presenza di re Alberto II e di Paola Ruffo di Calabria accolti dal direttore del teatro Stefano Mazzonis di Pralafera, ha avuto luogo la prima dell’opera di Bizet all’interno di una scenografia che riproduceva un circo, con tanto di acrobati, ballerini, animali (finti e veri). Un’idea che all’inizio può sembrare spiazzante perché ricca, colorata, felicemente rumorosa ma che nel corso della narrazione si rivela essenzialmente per quello che è: un bel contenitore all’interno del quale si dipana la vicenda.

Brockhaus riesce perfettamente a mettere insieme le varie tessere di un puzzle ed evita – dietro l’angolo in queste occasioni – la confusione: pur nella “folla” che calpesta il palcoscenico, ogni cosa, ogni elemento, ogni artista occupa il suo posto in sincronia e in maniera organizzata anche se -è qui la vera natura della riuscita- sembrano lì in modo naturale, non artefatto, forzato, costruito. E poi che voci! a partire dal coro dei piccoli diretti magistralmente da Véronique Tollet e dal coro guidato da Pierre Iodice. Se, infatti, per un regista non dovrebbe essere facile gestire un insieme così grande di persone, anche per chi dirige un coro l’impresa appare improba.

L’idea dei piccoli cantori che appaiono in postazioni diverse (perfino tra il pubblico) si rivela vincente ed efficacissima la presenza del coro adulto fra i palchi della struttura scenografica. Grandissima prova per i quattro personaggi principali. Il mezzo soprano giorgiano Nino Surguladze è magnifica: si muove con disinvoltura in una dose giusta di sensualità e naturalezza, così come richiede la personalità che incarna: una donna libera di dire quello che vuole e amare chi vuole. Il tenore belga Marc Laho le risponde con altrettanta bravura nell’interpretazione di un innamorato e geloso Don José.  Il baritono belga Lionel Lhote è perfetto nel ruolo del torero Escamillo. E poi c’è la candida, bravissima, delicata Micaëla, impersonata dal soprano Silvia Dalla Benetta: in più momenti della serata ha regalato brividi ed emozioni. Eccelsa la direzione musicale del M° Speranza Scappucci: decisa e misurata allo stesso tempo, ha magicamente fatto rivivere la bellezza della musica di Carmen.

Insomma, un grande successo ieri sera per Henning Brockhaus, “una grande sfida” ammette il regista. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Fra accettare la sfida e iniziare a concepirla è passato molto tempo?

Sì, soprattutto con tutte le Carmen che ci sono in giro. Da quando ho cominciato a prepararmi ad oggi ho sentito parlare almeno di trenta Carmen diverse.

Se dovesse presentare al pubblico la “sua” Carmen, che cosa direbbe?

La mia Carmen si svolge in un ambiente molto particolare, in un circo che per me è il simbolo della vita, in un circo quindi può accadere di tutto. Volevo evitare di fare una Carmen storica, pittoresca, le solite cose. E non volevo neanche fare una Carmen troppo sperimentale: allora mi è venuta in mente di proporla all’interno di un circo e mi pare che i conti siano tornati molto bene. Volevo anche avere un tocco di eros, i costumi dovevano essere molto più spinti e provocanti, ma a Liegi il pubblico è abituato a un teatro tradizionale e quindi ci hanno pregato di limitarci. Erano costumi Folies Bergère e quindi le donne erano tutte delle Carmen.

Carmen-Nino Surguladze fisicamente e nelle movenze si rivela perfetta: c’è subito stata intesa fra voi due sin dall’inizio?

Sì, grande intesa.

Dall’altro lato c’è Micaëla…

È la donna borghese, del matrimonio, quella da sposare. Per questa ragione ho inserito nelle scene il cane che viene addestrato perché lei ha in testa di addomesticare Don José, e la presenza dell’animale è una metafora di quello che succede in un matrimonio. Ho voluto anche che fosse molto bella e indossasse un costume adeguato: di solito Micaëla è grigia, una sorta di santa Maria Goretti e invece no, deve essere molto attraente, bella e sexy. Peccato che con Don José non provi alcun feeling: non c’è chimica fra i due e anche volendo, non la può amare.

Se avesse la possibilità di parlare con Carmen che cosa le direbbe?

Carmen è una donna totalmente libera, se ne frega di tutto, anche della vita…

E sulla scena, questo risalta fino alla fine. E a tal proposito, la scena finale è degna di un grande thriller: l’effetto speciale della pugnalata di Don Josè a Carmen resterà negli annali. Un istante crudele, impressionante, vero…

Giovanni Zambito, 30 gennaio 2018