[ACCADDE OGGI]

Per la cultura napoletana, per i suoi “baroni”, io non esisto. Ad ogni manifestazione culturale promossa dal Comune, sono (o erano..) invitati (e premiati) sempre gli stessi: Rea, Prisco, La Capria… Collaboro da anni a quotidiani del Nord (“il Giornale” “Resto del Carlino-Giorno-Nazione”) non al “Mattino”, a “Repubblica-Napoli”, al “Corriere del Mezzogiorno”. Cosa posso pensare della cultura napoletana? Ma si badi: io non ci tengo a far parte di quel gruppo, faccio solo un esame della situazione, e traggo le conseguenze”. A parlare così in una intervista è l’autore di “Io speriamo che me la cavo”, il celebrato maestro Marcello D’Orta, nato a Napoli il 25 gennaio 1953.

Una vita passata nei vicoli di Napoli con la sua famiglia numerosa che gli darà quegli spunti di base per capire l’unicità del vivere una città in cui quando si parla…”non si usa il futuro, quasi a significare che si vive un eterno presente; è per questo che per le strade si canta, si strilla, si fa rumore, un rumore assordante e a momenti insopportabile. Passato e presente copulano di continuo: si stendono i panni tra le braccia di due statue barocche, si fabbrica un forno da pizzeria coi mattoni di un muro romano. … Napoli è una città anarchica che tuttavia ha organizzato il suo caos. Napoli è una casbah che dà lezioni di fantasia.

Marcello D’Orta porterà queste sue convinzioni tra i banchi di scuola delle zone più  malfamate della sua città da maestro delle elementari e sarà “io speriamo che me la cavo” un libro, il suo primo libro, diventato un best seller con 2milioni di copie vendute in Italia, con trasposizioni teatrali e cinematografiche e con diverse traduzioni in vari paesi del mondo. Un libro inizialmente rifiutato da diversi editori prima che la Mondadori ne intuisse le potenzialità del grande favore dei lettori.

E come per destino, sarà così anche quando un maledetto male ucciderà  prematuramente  il maestro scrittore, solo allora quegli stessi giornali che non lo avevano avuto come collaboratore gli dedicheranno pagine di necrologi… sperando di cavarsela.

(Franco Seccia, 25 gennaio 2018)