In un’intervista senza precedenti al quotidiano saudita Elaph, il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano Gadi Eisenkot ha detto che Israele è pronto a scambiare informazioni, anche di intelligence, con tutti i Paesi arabi moderati, per fronteggiare la minaccia rappresentata dall’Iran nella regione (Haaretz). Gerusalemme e Riad, che finora non avevano alcuna relazione diplomatica, sono “completamente d’accordo sul fatto che Teheran sia il pericolo più grande e concreto” (Repubblica). “L’Iran progetta di controllare il Medio Oriente con due ‘mezzelune sciite’: la prima parte dall’Iran e, attraverso l’Iraq, arriva fino in Siria e in Libano. La seconda – spiega Eisenkot – muove dal Bahrein e, attraverso lo Yemen, giunge fino al mar Rosso. Su questa faccenda noi e il regno dell’Arabia Saudita, che non è mai stato nostro nemico e con cui non abbiamo mai combattuto, concordiamo completamente”.

Quale il significato di queste aperture? Si tratta di un segnale di cooperazione nuovo tra i due Paesi, spinto anche dagli Usa oltre che dalla necessità di arginare la crescita dell’influenza sciita iraniana in Medio Oriente: i sunniti di Riad hanno interessi petroliferi da difendere, mentre Israele, dopo le dimissioni del premier libanese Hariri, teme un’escalation di Hezbollah (Cnbc).

Proprio l’ex primo ministro del Libano Saad Hariri, dimessosi in circostanze poco chiare mentre si trovava a Riad, ha accettato l’invito a Parigi del presidente francese Macron: “Non un esilio ma un soggiorno temporaneo”, dicono fonti transalpine (La Stampa). Il protagonismo in Libano dell’Eliseo, che ha in ballo affari con i sauditi in concorrenza con l’italiana Finmeccanica, non piace alla Farnesina, nota l’Huffington Post.

Intanto a Riad si discutono possibili rilasci su cauzione delle decine tra principi e uomini d’affari arrestati per corruzione una settimana fa, per volontà del principe ereditario Mohammed bin Salman (Ft).

(com.unica, 17 novembre 2017)