Accusato di spionaggio, aveva collaborato con l’Università del Piemonte Orientale. Gli appelli per salvarlo di Amnesty International, della comunità scientifica e dei radicali.

Ahmadreza Djalali, ricercatore nel campo della medicina dell’emergenza, nato in Iran e residente in Svezia è stato condannato a morte. Tra il 2012 e il 2015 ha studiato e lavorato al Crimedim di Novara, il Centro di ricerca sulla medicina dei disastri. Proprio gli amici e colleghi dell’Università del Piemonte Orientale sono stati i primi a mobilitarsi per la sua liberazione, sostenendo per mesi una campagna mediatica e diplomatica al fianco di Amnesty International, con il supporto dei senatori Luigi Manconi ed Elena Ferrara del Pd. Ma questo non è bastato. La Farnesina ha assicurato di seguire da vicino il caso: “Abbiamo sollevato il caso più volte, lo abbiamo fatto a livello diplomatico con il nostro ambasciatore e a livello governativo. Vedrò il nostro ambasciatore in Iran nei prossimi giorni. L’ho appena sentito e continueremo a sensibilizzare gli iraniani su questo caso, fino all’ultimo”, ha detto il ministro degli Esteri, Angelino Alfano.

Arrestato in Iran nell’aprile del 2016, è accusato del reato di “corruzione sulla Terra“. Oltre alla pena di morte l’accusa ha chiesto una multa equivalente a 200.000 euro. La sentenza, mostrata a uno dei suoi avvocati, sostiene che Djalali lavorava per conto del governo israeliano, che lo aveva aiutato a ottenere il permesso di soggiorno in Svezia.

Per sette mesi, tre dei quali passati in isolamento, non ha potuto incontrare un avvocato. Anche dopo quel periodo, i legali di sua scelta sono stati rifiutati dal tribunale.

Amnesty International ha sollecitato le autorità iraniane ad annullare urgentemente la condanna a morte di Djajali, che ha svolto studi e ricerche in Svezia, Italia e Belgio, è stato arrestato in Iran nell’aprile 2016. “Ahmadreza Djalali è stato condannato a morte al termine di un processo profondamente irregolare che mette in evidenza non solo l’ostinazione delle autorità iraniane per l’uso della pena di morte ma anche il loro enorme disprezzo per lo stato di diritto”, ha dichiarato in una nota ufficiale Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e sull’Africa del Nord di Amnesty International.

In un audio pubblicato su YouTube il 22 ottobre, Ahmadreza Djalali afferma che, durante l’isolamento, è stato costretto per due volte a rilasciare “confessioni” di fronte a una telecamera, leggendo una dichiarazione scritta dai funzionari che lo interrogavano. Aggiunge che è stato sottoposto a forti pressioni, attraverso torture psicologiche e minacce di metterlo a morte e di arrestare i suoi figli, per obbligarlo a “confessare” di fare spionaggio per conto di un “governo nemico”. Infine, nega le accuse nei suoi confronti sostenendo che sono state fabbricate dai funzionari del ministero dell’Intelligence che lo stavano interrogando.

“Mentre le autorità iraniane stanno stringendo i legami con i paesi dell’Unione europea, è assurdo che usino le relazioni accademiche di Djajali con l’Europa come ‘prove’ a suo carico“, ha sottolineato Luther.

La moglie di Ahmadreza Djalali, Vida Mehrannia, residente in Svezia con i loro due figli, ha denunciato ad Amnesty International che la salute fisica e mentale del marito è rapidamente peggiorata dall’arresto. “Chiediamo il suo rilascio, perché non ha commesso alcun reato”, è stato il suo appello.

Si sono mobilitati anche i radicali italiani. Questa la dichiarazione del segretario nazionale Riccardo Magi e degli esponenti piemontesi Silvja Manzi e Igor Boni: “Lo abbiamo chiesto a gran voce nella nostra iniziativa organizzata a Torino il 10 febbraio scorso, lo ribadiamo ora, dopo le terribili notizie che giungono dall’Iran. Chiediamo che il Ministro degli Esteri italiano, Angelino Alfano, convochi immediatamente l’ambasciatore iraniano in Italia per denunciare la totale contrarietà a questo trattamento di una persona che ha fattivamente collaborato alle attività di ricerca scientifica nel nostro e nel suo Paese. Crediamo improcrastinabile un’azione determinata da parte della nostra Diplomazia per sollevare questo caso vergognoso e per contestare una condanna a morte inaccettabile. Crediamo che la stessa Unione Europea debba prendere una posizione di totale contrarietà alla condanna e per questo chiediamo a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, di contattare immediatamente le autorità iraniane e comunicare loro la posizione europea in merito”.

Sul sito di Change.org (qui il link) è possibile firmare la petizione in suo favore.

(com.unica, 24 ottobre 2017)