[ACCADDE OGGI]

Oggi, sfogliando il calendario degli avvenimenti è forte la tentazione di andare oltre e passare ad altra data. Come si può, nonostante i settantadue anni trascorsi, non avvertire un senso di rigetto per l’efferato crimine commesso da una folla aizzata e accecata dalla rabbia che il 18 settembre 1944 catturò, seviziò e oltraggiò il corpo, delittuosamente lasciato al suo tragico e infame destino, di Donato Carretta direttore del carcere romano di Regina Coeli.

Questi i fatti. Donato Carretta era nell’aula del Tribunale di Roma, che a quell’epoca era all’interno del “Palazzaccio” oggi sede della Cassazione, ed era in attesa di essere interrogato come testimone di accusa nel processo a carico dell’ex Questore di Roma Pietro Caruso ritenuto responsabile della carneficina delle “Fosse Ardeatine” per l’elenco dei nominativi forniti a Kappler in aggiunta a quella incredibile, feroce lista di morte che per bestiale rappresaglia aggiunse altre vittime innocenti ai morti di via Rasella. Il processo tardava ad iniziarsi e la folla desiderosa di assistervi irruppe nell’aula gridando lo sdegno per il tempo che si perdeva e chiedendo un’immediata e sommaria giustizia. Ad un tratto una donna, una donna vestita a lutto che affermava di essere la vedova di uno dei detenuti di Regina Coeli finito sulla lista di Kappler, disse che era stato il direttore del carcere lì presente a dare i nomi a Caruso. In un baleno la folla inferocita si avventò sull’ignaro direttore Carretta che a calci e a pugni fu trascinato fuori il Palazzo di Giustizia in Piazza Cavour e disteso sui binari di un tram perché le ruote del mezzo pubblico completassero la nefasta opera della morte decretatagli per furore popolare. Ma il conduttore del tram accortosi di quanto accadeva fermò il mezzo e quando notò che non paghi alcuni scalmanati tentavano di spingere manualmente il tram inserì il freno a mano per impedire quello scempio. Quel conduttore, tale Angelo Salvatore, riuscì a schivare l’ira della folla mostrando mentre si allontanava la tessera di iscrizione al Partito Comunista. Fu a questo punto che l’inenarrabile si concretizzò. Al grido “al Tevere, al Tevere” il corpo quasi senza vita di Donato Carretta fu trasportato sul vicino ponte Cavour e gettato nel fiume e fatto oggetto di una fitta sassaiola. Carretta cercò di salvarsi aggrappandosi a dei rami ma fu raggiunto dai facinorosi che a colpi di remi lo affondarono. Non contenti e non paghi ripescarono il corpo del povero Donato Carretta e trasportatolo al carcere di Regina Coeli lo appesero alle inferriate.

Pietro Nenni e Sandro Pertini espressero sdegno “per il truce assassinio del Carretta che era stato sempre favorevole agli incarcerati antifascisti e li aveva in molti modi aiutati”. Durissime le parole di Benedetto Croce che parlando del fattaccio disse “macchine senza luce intellettuale e senza palpiti di cuore”. Non una parola di condanna giunse dal segretario del PCI Togliatti , anzi… .

Il giudice Zara Algardi testimone oculare di quello scempio in un libro ha scritto “fra tutti coloro che sono stati presenti alla tragedia svoltasi di fronte al palazzo di giustizia della città eterna, il solo uomo degno di questo nome si chiama Angelo Salvatore, romano”.

(Franco Seccia/com.unica, 18 settembre 2019)