[ACCADDE OGGI]

Non è possibile credere che sia stata e sia una bella vita quella di Robert Fisk, il giornalista britannico che, secondo il New York Times, è il più famoso corrispondente estero inglese da sempre sui sentieri di guerra per informare i lettori del suo londinese The Indipendent. Fisk ha visto con i propri occhi tutte le nefandezze di questo mondo e le ha raccontate ai suoi lettori con agghiacciante veridicità facendo onore al significato della testata del suo giornale. Mutuiamo dalla sua prosa l’orrore del massacro di Sabra e Shatila in Libano quando nei giorni dal 16 settembre al 18 settembre 1982 furono barbaramente assassinati mille, forse tremila o forse ancora 3500 inermi civili, di ogni età e senza distinzione di sesso, accampati nel campo profughi palestinesi di Sabra e Shatila alle porte ovest della capitale libanese Beirut.

Così Fisk racconta quel massacro: “Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all’altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare.” E ancora “All’inizio non usammo la parola massacro. Parlammo molto poco perché le mosche si avventavano infallibilmente sulle nostre bocche. Per questo motivo ci tenevamo sopra un fazzoletto, poi ci coprimmo anche il naso perché le mosche si spostavano su tutta la faccia. Se a Sidone l’odore dei cadaveri era stato nauseante, il fetore di Shatila ci faceva vomitare. Lo sentivamo anche attraverso i fazzoletti più spessi. Dopo qualche minuto, anche noi cominciammo a puzzare di morto”.

I fatti e gli antefatti non servono a capire i motivi di tanto orrore. Non trova giustificazione per quel massacro l’assassinio di poche ore precedenti del presidente libanese Bashir Gemayel e di una trentina di dirigenti delle milizie cristiano-falangiste ad opera di terroristi palestinesi con la compiacenza dei servizi segreti israeliani. Non serve a lavare le colpe di tanta malvagità il ricordare che Ararat si ostinava a negare la presenza di un migliaio di guerriglieri dell’OLP nel campo profughi. È e resta sconcertante la vigliaccheria se non la complicità americana che proprio nelle ore del precipitarsi degli eventi e mentre si rompeva una tregua che pure avevano contribuito a realizzare, abbandonarono con i loro alleati, tra cui gli italiani, il campo lasciando che il massacro si compisse.

Ricordare quell’orrore è doveroso ma è ugualmente doveroso dire che non serve inseguire vendette affinché il sangue non chiami sangue.

(Franco Seccia/com.unica, 16 settembre 2019)