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Dovesse aver ragione Brigitte Hamann nel suo “Album di Sissi” (la biografia Elisabetta di Baviera pubblicata in Italia per i tipi della Longanesi nel 1986), Elisabetta di Baviera, l’imperatrice d’Austria moglie di Francesco Giuseppe, era fortemente anticlericale, convintamente libertaria e di sentimenti socialisteggianti fino al punto di odiare “l’ordine” repressivo absburgico e desiderare una morte improvvisa “…rapidamente e se possibile all’estero”. Ad accontentarla e a dargli una morte quasi e improvvisa e fuori dai confini del suo impero ci pensò l’anarchico italiano Luigi Lucheni che il 10 settembre 1898 l’accoltellò sul lungolago di Ginevra.

Di Elisabetta di Baviera, se preferite di Sissi, conosciamo tutto anche quello che esageratamente hanno voluto tramandarci a causa della sua leggendaria bellezza, gli amori, le frivolezze, le angosce, le fughe e le disillusioni. Il grande Luchino Visconti ce l’ha rappresentata in modo più realistico nel suo Ludwig, l’epico racconto della vita Ludovico II di Baviera il cugino di Elisabetta. Poco conosciamo, invece, di Luigi Lucheni l’uomo che uccise Sissi, anche se i musicisti Michael Kunze e Sylvester Levay gli affidano la parte del narratore nel loro musical viennese “Elisabeth”.

Luigi Lucheni era figlio illegittimo di una cameriera italiana che lavorava a Parigi dove il piccolo nacque e fu immediatamente abbandonato dalla mamma. Passò tutta la sua infanzia e l’adolescenza sballottato da un orfanatrofio all’altro senza mai conoscere e vedere la madre che emigrò in America. L’atroce destino della sua vita di figlio di nessuno e di errabondo lo portò a incontrarsi per la prima volta con una ex regnante discendente degli Wittelsbach di Baviera, l’ultima regina di cassa Borbone Maria Sofia sorella di Elisabetta, a Napoli dove ancora forte era il ricordo dell’eroina di Gaeta e dove il Lucheni prestò servizio militare presso il Reggimento cavalleggeri di “Monferrato”. Fu anche decorato di medaglie per essersi distinto nelle “Campagne d’Africa” al fianco del suo comandante il principe Raniero de Vera d’Aragona che lo tenne al suo servizio anche a guerre finite. Ma in lui prevalse l’ansia di libertà sempre cercando quegli affetti che gli erano stati negati. Ricominciò a vagabondare per l’Europa e si abbeverò soprattutto in Svizzera a Losanna alle fonti del rigetto di ogni autorità imposta, del disprezzo per i ricchi e dell’anarchia. Così decise, lui figlio di nessuno, che il suo nome fosse tramandato ai posteri attraverso l’irreparabile atto di un regicidio. Al processo per l’assassinio da lui compiuto ai danni di Elisabetta di Baviera Imperatrice d’Austria dirà di averlo fatto “Perché sono anarchico. Perché sono povero. Perché amo gli operai e voglio la morte dei ricchi”. Condannato all’ergastolo Luigi Lucheni morirà in carcere per presunto suicidio e la sua testa recisa dal resto del corpo sarà conservata e mostrata agli illustri ospiti dell’Hotel Metropole di Ginevra dove spesso soggiornava Sissi. Tra gli ospiti illustri che videro la testa di Luigi Lucheni vi furono i rivoluzionari bolscevichi Lenin, Molotov e Malenkov. Di Luigi Lucheni che scrisse in carcere la sua biografia l’anarchico Santo Cappon dice che con il suo gesto il Lucherini intese colpire la madre che lo aveva abbandonato così perforando il cuore di Elisabetta come per trapassare il cuore della mamma.

Se è così, ma fortemente ne dubitiamo, un “fanciullo infelice” che Elisabetta di Baviera descrive e difende nei suoi diari degli “Album di Sissi” la uccise quel 10 settembre 1898 a Ginevra.

(Franco Seccia/com.unica, 10 settembre 2020)