Il libro di Daniel Pittet e la prefazione di papa Francesco

In realtà non si tratta di un libro, ma di una confessione in pubblico, espressa con la massima sincerità e la massima carità. Il titolo è di per sé significativo, “La perdono, padre”. Daniel Pittet racconta la sua esperienza di stuprato, da quella prima volta avvenuta nel mese di luglio 1968, nel convento dei Cappuccini, dopo la celebrazione della Messa nella cattedrale di Friburgo. Il prete cappuccino si chiama Joёl Allaz. Il ragazzo ha nove anni: “Mi ordina: tirati giù le mutande”. E subito è costretto ad una “fellatio”. Il rapporto durerà quattro anni. Ma saranno centocinquanta i bambini vittime di padre Allaz.

Il libro è d’una franchezza di linguaggio che sconvolge. E papa Francesco annota: “la testimonianza di Daniel Pittet è necessaria, preziosa e coraggiosa”.

Con la pubblicazione di questo libro, la Chiesa cattolica apre le porte alla ricerca della verità e all’indagine statistica sul fenomeno della pedofilia tra le fila del clero, regolare e secolare. In America il problema ha creato enormi inconvenienti di carattere giuridico-economico. Perfino un film come “Spotlights” è una denuncia che ha posto freddamente il dito sulla piaga. Purtroppo in Italia una inchiesta sul clero e sulle sue devianze sembra impossibile. Eppure problemi di pedofilia e casi di preti pedofili ce ne sono tanti. Anche clamorosi.

Non si nasce pedofili, anche se a volte emergono tendenze innate o derivanti dall’infanzia, come nel caso del protagonista del libro di Pittet. Nell’incontro del 15 luglio 2016 col vescovo di Friburgo, di fronte alla domanda: “Che cosa, nella sua vicenda personale, l’ha portata a violentare così tanti bambini?”, padre Allaz risponde: “È la domanda fondamentale, la domanda che mi pongo incessantemente. Ancora oggi non lo so. Non ho risposte. Fin da ragazzino ho sentito in me una tendenza omosessuale…”

Si diventa pedofili nel corso della propria esistenza, spesso proprio a contatto con i ragazzi. La grande colpa dell’istituzione ecclesiastica è privare i giovani seminaristi della possibilità di scegliere altre vie. Ad ogni seminarista dovrebbe essere data la possibilità di acquisire un titolo di studio statale, per non trovarsi “sbandato”, qualora dovesse scegliere una vita laicale. Una alternativa concessa e suggerita per amore, come deve essere tra cristiani. Se già ordinato, un giovane senza altra professione o titolo di studio riconosciuto dallo Stato, non ha altra via che il sacerdozio come “professione”. L’impossibilità di non poter essere liberi diventa schiavitù. Si resta prete come una condanna. Un prigioniero di se stesso. Con il peso enorme della crisi di coscienza che lacera interiormente, frutto d’una assurda fede-capestro.

Solo abolendo i seminari e tornando all’antica formula della formazione in itinere, o di piccole comunità tra preti, vescovi e seminaristi potrebbe essere eliminata la piaga della pedofilia. Un esperimento realizzato vari anni fa in Francia, a Lione, dal vescovo Ancel. Una rarità, purtroppo. Suggerimenti e proposte che già nel 1832 venivano esposti in un famoso libro, condannato, dal titolo “Le cinque piaghe della Chiesa”, scritto dal prete filosofo Antonio Rosmini.

Scrive Rosmini: “Nei primi secoli, la casa del vescovo era il seminario dei preti e dei diaconi”. Oggi il vescovo è prigioniero nel suo palazzo vescovile, come faceva notare già don Lorenzo Milani. Non esiste più vita comunitaria tra vescovo e preti. C’è solo un rapporto gerarchico, tra superiore e inferiore. Quanta distanza dall’esempio di Cristo: “Non vi chiamo più servi… ma amici” (Gv. 15.15).

La pedofilia, come fenomeno sociale, è antichissimo. Un problema mai risolto e sempre ricorrente. Anche oggi esistono ragazzi di strada e ragazzi di casa. Gli uni, i cosiddetti “marchettari”, vendono il proprio corpo a clienti di passaggio, a prezzi ridotti. A questa prostituzione che potrebbe definirsi “proletaria”, con caratteristiche di anonimato e di provvisorietà, si contrappone un’altra forma di prostituzione giovanile, detta dei “baby caramel”. Si tratta di ragazzi mantenuti da ricchi notabili, da vip dell’high society, da artisti, politici e diplomatici. Ragazzi che abitano in appartamenti lussuosi, come “amanti” a disposizione del loro protettore. Veri efebi, che spesso hanno ricevuto una specifica educazione per il look: capelli ricci, viso trattato con latte detergente, occhi languidi.

Un’inchiesta accurata nel settore della prostituzione giovanile è estremamente difficile, per le difficoltà nello stabilire contatti con persone di questo genere. I giovani si rinchiudono nel loro mondo problematico ed è praticamente impossibile far emergere le contraddizioni che si annidano negli ambienti della devianza.

Gerardo Lutte, ex-salesiano e docente di pedagogia all’Università di Roma, oggi prete tra i giovani di strada in America Latina, sottolinea: “L’adolescenza è una condizione di emarginazione e di subordinazione imposta ad una classe d’età, i giovani, non già per il loro bene, bensì in funzione delle esigenze di una società che si sviluppa nel senso di una crescente ingiustizia ed inuguaglianza”.

Mario Setta*, settembre 2017

*Mario Setta, ha studiato e conseguita la licenza in Scienze Sociali alla Pontificia Università Gregoriana; si è laureato in Sociologia e Filosofia all’Università di Urbino; ha pubblicato articoli su “L’Osservatore Romano”; ha curato il libro sul periodo di vita a Scanno e in Abruzzo del Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, “Il sentiero della Libertà, un libro della memoria con Carlo Azeglio Ciampi” (Laterza 2003); ha curato con Maria Rosaria La Morgia il libro “Terra di Libertà”.