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Geronimo, un mito tale diventato più per la ingordigia del business dei suoi avversari storici che per la reale venerazione del suo popolo gli Apache americani. In ogni caso è ricordato come uno degli ultimi capi guerrieri dei nativi americani che si arrese dinanzi alla soverchiante potenza di uomini e armi degli ex colonizzatori degli attuali Stati Uniti d’America.

Esattamente il 4 settembre 1886 Geronimo sotterò l’ascia di guerra e si arrese al generale Nelson Miles dell’esercito statunitense nell’ultima battaglia ingaggiata presso Skeleton Canyon, il luogo che segna il confine dell’Arizona con il Nuovo Messico, lo stesso luogo dove pochi anni prima alcuni cowboy americani massacrarono in un agguato i rurales messicani che commerciavano e contrabbandavano l’argento di cui quei territori erano ricchi.

Geronimo e il suo popolo i Bedonkohe Ndehndahe Apache naturalmente non combatteva per l’argento, per l’oro e nemmeno per la terra che consideravano non assoggettabile all’uomo, ma solamente per salvaguardare la loro dignità di Nazione aborigena, una grande nazione originariamente anch’essa di migranti che quasi ventimila anni prima che Colombo scoprisse il nuovo mondo, durante l’era glaciale, era giunta dall’Asia percorrendo la striscia di Bering che allora univa i continenti.

Gli “indiani” d’America erano suddivisi in oltre 250 tribù disseminate in tutto il nuovo mondo e conducevano una vita libera in stretto contatto con la natura e con regole e tradizioni che ponevano il capo della tribù nella condizione di rappresentare la legge nel rispetto del volere degli sciamani intermediari con gli “spiriti” e intercessori presso il “grande spirito” Manitù. Ne consegue che per loro era incomprensibile la legge dell’”uomo bianco” che lottava per conquistare la terra depredandola di ogni sua risorsa e vivendo fuori da ogni concezione di comunità solidale.

Ma anche Geronimo, come prima di lui Toro Seduto dei Lakota, Cavallo Pazzo e Nuvola Rossa dei Sioux, dovette piegarsi alla forza e fini i suoi giorni quasi ottantenne prigioniero nella riserva Fort Sill in Oklahoma. Come accennavamo all’inizio divenne un mito e un’icona del cinema e dei curiosi e fu anche abile nello sfruttare questa sua posizione di ingabbiato da circo fino al punto di aprire a cavallo e con i paramenti di grande capo la sfilata per l’insediamento alla Casa Bianca del Presidente Theodore Roosevelt.

Franco Seccia/com.unica, 4 settembre 2020